La commedia francese “Il mio testimone di nozze” non era mai stata portata in scena in Italia prima d’ora e la scelta di questa compagnia di scommettere sulla sua riuscita è comprensibile, considerato che - seppure non si possa parlare di un capolavoro di originalità nel suo genere - il testo di Jean Luc Lemoine (attore ed autore sconosciuto nel nostro Paese) risulta piacevole ed apprezzabile, rivelando un’acuta capacità dell’autore di osservare il genere umano e la società odierna e l’abilità nel rappresentare i tratti che distinguono i quattro protagonisti di questa storia, tanto diversi l’uno dall’altro. L’alternanza di momenti di leggerezza, ironia e briosità delle battute, che fanno sorridere lo spettatore, ad analisi più profonde dei personaggi, che risultano, così, vicini al pubblico, garantiscono la capacità di questa commedia di mantenere viva l’attenzione di chi osserva.
La vera originalità del progetto, debuttato al Teatro Brancaccino di Roma il 9 ottobre 2014, però, sta nel modo in cui è nato: la compagnia, infatti, ha scelto di investire nell’allestimento, autoproducendosi ed ha coinvolto, poi, il regista Pino Quartullo, chiedendogli di dirigerlo. Una scelta che dimostra quanto i quattro interpreti credessero nelle potenzialità di questo lavoro e trovassero interessanti i protagonisti, che infatti rappresentano in modo verosimile, ricco di personalità e sfumature.
Il gioco di contrasti tra i personaggi è molto efficace e divertente: tanto più Lili - Siddharta Prestinari – è tesa ed acida, maggiormente Bennie - Marco Fiorini – appare spensierato; quando Elynea - Monica Volpe – neo fidanzatina del vecchio amico della coppia, Thomas - Alberto Bognanni – , esagera con le sue espressioni in gergo adolescenziale, il linguaggio di Lili si fa ancora più formale e forbito, e via dicendo… Ma l’idea che lo spettatore si fa di ciascuno, viene puntualmente smentita con una serie di inaspettati colpi di scena: proprio chi sembrava più ingenuo e spontaneo si scopre maggiormente consapevole di come stiano le cose, mentre chi sembrava vittima, si svela colpevole.
La scenografia, interamente disegnata in stile fumettistico – realizzata con gusto da Marco Raparelli - esterna ciò che Bennie cova dentro di sé, ovvero il desiderio di fermarsi nell’idillio dell’infanzia ed il timore di affrontare la realtà adulta e le sue conseguenze. Attorno ad essa si creano anche simpatici espedienti: se, infatti, in alcuni momenti si fa affidamento sulla complicità dello spettatore nel fingere che tavoli, bottiglie di vino e ceste di frutta disegnate siano reali, in altri, i personaggi stessi fanno riferimento ad alcuni elementi dell’arredamento della casa, commentandone la natura particolare.
La rappresentazione non scade mai nel banale o nel superficiale e lascia emergere una considerazione su come, con l’età e l’esperienza, si perdano l’onestà dei sentimenti ed il desiderio di ricerca del vero mentre prendono il sopravvento la slealtà e la paura del giudizio degli altri o della precarietà e delle incertezze della vita, camuffati da maschere.
Laura Mancini