L’allestimento del Misantropo di Molière presentato dalla compagnia Il Mulino di Amleto si sviluppa su uno spazio scenico ben illuminato, che trasmette un senso di lucentezza e candore, con l’unica eccezione di un fondale nero, dietro il quale l’ambiente è quello tipico del camerino, il luogo dove in genere gli attori attendono il loro ingresso in scena per interpretare un ruolo, che, in qualche modo, assume una valenza sociale.
Teatro e società
Entra un personaggio dall’aria disinvolta e compiacente Filinte (Raffaele Musella), che si rivolge al pubblico con un garbata, quanto “maccheronica” cadenza inglese, invitandolo a spegnere i cellulari durante la rappresentazione.
Tratto distintivo di questo allestimento, infatti, è l’interazione con il pubblico, a significare l’evidente rapporto tra l’Io e la comunità sociale, che la commedia di Molière intende sottolineare.
Senso morale vs convenzioni sociali
Alceste, il protagonista, è un uomo all’apparenza tutto d’un pezzo, ma dal carattere piuttosto difficile, e con un senso morale rigido quanto stravagante. Egli dice sempre quello che pensa, molto spesso a discapito, non solo delle convenzioni sociali, ma anche delle più elementari regole di civiltà e buona educazione. C’è qualcosa di magnetico negli sguardi che Federico Manfredi, nei panni di Alceste, rivolge al pubblico e ai compagni di palcoscenico, con una padronanza di gesti, mimica del volto e presenza scenica che tratteggia in maniera molto eloquente l’indole poco tollerante del suo personaggio.
Un malessere verso la comunità che si manifesta soprattutto nel corso di un’occasione conviviale, quando Alceste (sprecando, tra l’altro, una esagerata quantità di cibo, tra torte, pop corn e bottiglie di alcolici) mostra il lato peggiore del suo carattere, ridicolizzandosi e suscitando l’imbarazzo generale, mentre gli altri interpreti rompono la quarta parete offrendo al pubblico in sala pop corn e spumante.
Coerenza tra pensiero e azione
Perno attorno al quale ruota l’intera vicenda è l’amore passionale tra Alceste e Celimene (un’intensa e disinvolta Barbara Mazzi), che non riuscirà a trionfare sulla morale anti-sociale del protagonista.
Donna superficiale, circondata da molti pretendenti e assai ligia alle convenzioni sociali, Celimene cede al corteggiamento di Oronte (Yuri D’Agostino), il quale per riparare a un “torto” subito proprio da Alceste, lo trascina in un contenzioso legale dal quale quest’ultimo uscirà sconfitto, ma ulteriormente rafforzato nella sua convinzione di difendere la necessità di mantenere una coerenza tra pensiero e azione sociale.
Completano il cast Fabio Bisogni e Roberta Calia (Eliante, la sola a provare ammirazione per la strenua coerenza d'intenti del protagonista).
Il “losco figuro”, personificazione del Tribunale, è il regista Marco Lorenzi, che osserva da una distanza molto ravvicinata quello che succede in scena e utilizza con raffinata cognizione numerose tracce musicali (Radiohead, Asaf Avidan, John Grant…) per dare opportuno risalto ai momenti più salienti della pièce.