L’amore è un apostrofo rosa tra le parole “t’amo”. Almeno così si dice. Ma è pure chimica, trasporto, condivisioni e pulsioni. Preceduto dall’innamoramento e seguito, troppo spesso, da dolore e separazioni… tuttavia, fino a quando la giostra dura, può rappresentare anche un bel divertimento.
Ne sanno qualcosa i cinque protagonisti di “Un neurone innamorato”, uno spettacolo in scena due sole sere, quelle dei fatidici giorni di San Valentino e San Faustino che, come è noto, celebrano gli innamorati e i single, due categorie da sempre nel miro, oggetto di “studi” e prese in giro. I 3 uomini e 2 donne protagonisti - volti di Zelig e piacevoli scoperte, soprattutto quelle femminili - vestono qui a fasi alterne i panni di personaggi differenti tra loro ma così simili a noi, che di quel fiume in piena che talvolta è l’amore siamo vittime più o meno consapevoli… partendo da un punto di vista privilegiato: quello dell’uomo di scienza che, ricorrendo a termini non sempre fruibili dai comuni mortali, prova a spiegare in modo freddo e rigoroso - si fa per dire - il processo che nel nostro cervello si innesca quando incontriamo, o pensiamo di incontrare, l’uomo o la donna dei nostri sogni.
Bisogna riconoscere che parlare di amore oggi, con le difficoltà e gli ostacoli impervi che troviamo sulla nostra strada, in modo semplice ma al tempo stesso originale e spiritoso non è cosa facile. Servirebbe trovare nuove chiavi di lettura, spunti sfiziosi e stimolanti, aneddoti divertenti ma allo stesso tempo educativi, per narrare quel sentimento che, almeno nelle parole dei grandi poeti e scrittori, muove il mondo ed è alla base della vita stessa, come pensano i più romantici tra noi. E tutto questo è, talvolta, un’impresa. Ci si può riuscire, anche se non sempre durante un intero spettacolo: il “neurone innamorato” parte infatti con delle buone premesse, battute forse talvolta prevedibili ma godibili, gioca con alcuni luoghi comuni, si appella alla precisione scientifica per esaltare la bizzarria di qualcosa che, ahinoi, lo diventa senza esserlo in origine (alzi la mano chi, una volta innamorato, non ha detto o compiuto qualcosa di cui si è poi pentito o di cui ha riso!). Affronta in modo dissacrante e alcune volte un po’ insolente comportamenti, recriminazioni, dubbi e interrogativi dell’individuo invaghito. Fa ridere il pubblico che viene coinvolto nella misura giusta (giusta nel non generare panico e batticuori di altra natura), ma risulta essere più spontaneo e genuinamente divertente soprattutto nell’ultima parte della serata quando, uscendo dal canovaccio, i cinque interpreti sembrano quasi improvvisare: partendo dalla lettura delle definizioni date dagli spettatori, gli attori illustrano alcune tipiche dinamiche dell’amore, le incertezze e i teneri impacci che possono verificarsi, senza “scomodare” trattati accademici ma attingendo alla vita vera, quella di chi è in platea e che, almeno una volta nella vita, si sarà domandato “mi sono mai ridotto in questo stato?”. Spesso divertente, ma si può dare di più.