Prosa
IL NOME DELLA ROSA

Una rosa non senza spine

Una rosa non senza spine

La prima versione teatrale dell’opera, firmata da Stefano Massini, ha una grande certezza: risulta più fedele al romanzo che non alla trasposizione cinematografica di Jean-Jacques Annaud del 1986.
La drammaturgia, infatti, centra (anche troppo) l’obiettivo di “condensare” in un copione teatrale le oltre 500 pagine del romanzo. Ciò che ne emerge è uno spettacolo scorrevole, con dialoghi però solo a tratti brillanti.

Onirici labirinti della memoria
L’allestimento diretto da Leo Muscato può contare comunque su un punto di forza non di poco conto: l'ottima interpretazione di 13 attori e un impianto scenografico dall’impatto percettivo e onirico. Si tratta di una sorta di “scatola nera” - con lo spazio per alcune feritoie per il passaggio di luci e oggetti di scena - che permette al pubblico di seguire i labirinti della memoria del vecchio monaco benedettino Adso da Melk (Luigi Diberti), segnato così profondamente dai terribili fatti di cui è stato testimone in gioventù e dall’incontro con una fanciulla che non ha mai dimenticato e “di cui non sapeva né seppe mai neppure il nome”.
La complessità evocativa del romanzo originale (ma anche del film) viene risolta soprattutto mediante l’impiego di video proiezioni, che svolgono l’efficace funzione di trasmettere al pubblico gli stati d’animo dei personaggi che affollano il palcoscenico.

Due antagonisti: quale verità?
Il multi-ruolo la fa da padrone: fra tutti, emerge Eugenio Allegri che comunque risulta molto più a suo agio nel primo atto, nei panni del francescano Ubertino da Casale. Nel secondo atto, invece, da' voce all’implacabile e temuto inquisitore Bernardo Gui: in questo secondo volto, le “corde drammatiche” del personaggio vengono esasperate al punto da far sembrare una forzatura la condotta spietata e arrogante del personaggio.
Bravo Luca Lazzareschi, un Guglielmo da Baskerville sagace e autoironico, abile nel padroneggiare sillogismi come libero strumento di ricerca della verità.

Religioso silenzio, tra palco e platea
Il religioso silenzio che pervade l’abbazia prende possesso di tutto il teatro quando sul palcoscenico arriva il venerabile Jorge (Renato Carpentieri), misterioso e austero depositario dei segreti di quel luogo di preghiera e di conoscenza. Un silenzio che viene però interrotto, alla fine del primo atto, quando un giovane e ammaliato Adso (Giovanni Anzaldo) scopre i piaceri della carne tramite una fanciulla, che, spogliandosi di fronte a lui, gli si concede totalmente; la tenerezza dei movimenti dei loro corpi si confonde con i ricordi a cui dà voce, sul lato opposto del palcoscenico, il vecchio Adso e la poesia di questo momento, inevitabilmente, si perde.

Uno spettacolo che al debutto prende tre stelle piene ma che a regime, durante la prossima lunghissima tournée, potrà ambire - senza troppe difficoltà - alla quarta stella.

Visto il 27-05-2017
al Carignano di Torino (TO)