Macerata, teatro Lauro Rossi, "Il padre" di August Strindberg
LA SALVEZZA NEL RICORDO DELL’INFANZIA
August Strindberg, drammaturgo svedese fra i grandi dell’Ottocento, è autore di una vasta produzione, dal romanzo al teatro. Acuto e visionario osservatore del reale, con questo testo messo in scena nel 1887 anticipa certe tematiche freudiane, soprattutto dal punto di vista della nevrosi maschile, e affronta l’angosciosa deriva di un dissesto coniugale, mettendo a nudo i nodi irrisolti del conflitto fra i sessi e prefigurando la crisi dell’istituto familiare nella società borghese: nella lite per l’educazione della figlia si insinua il dubbio della paternità, arma feroce nelle mani della moglie (“non ho mai potuto guardare un uomo senza sentirmi più forte”) e atroce calvario mentale per un rigoroso capitano di cavalleria, condotto ad un progressivo declino fisico e mentale, fino al tracollo (“non si può conciare un’anima in tale maniera”), fino all’annientamento di sé e della famiglia, emblematicamente nell’imminenza del Natale.
L’allestimento di Massimo Castri, alla prima prova con Strindberg, sposta l’accento dal conflitto tra i sessi al percorso mentale del protagonista, che aumenta sempre di più il suo scollamento con il reale fino a regredire ad uno stato infantile tra le braccia di una donna totemica replicata. Scenograficamente il tutto è reso da uno scivolamento della scenografia: nel primo atto il camino è a sinistra, la porta di fronte e la finestra a destra, nel secondo atto il camino è di fronte, la porta a destra e la finestra si suppone verso la platea (perché durante un temporale la luce si riflette sulla parete in fondo), nel terzo atto il camino è a destra e la finestra a sinistra. Cambia la prospettiva dell’osservazione di questo microcosmo malato ma la situazione rimane la stessa, incubi e inquietudini si ripetono giorno dopo giorno, prima nella mente, poi deflagrano anche nella vita: pareti color petrolio, pietra nera lavica, le grandi porte e finestre che fanno sembrare gli uomini piccoli, abituali nella cifra stilistica di Castri e Balò. Alcuni elementi in modo sapiente sono metafora di quello che accade in scena, come l’insinuarsi del dubbio dell’infedeltà, quando la luce cambia da naturale ad artificiale, diviene livida, spettrale, un temporale di avvicina e si sommano i rumori dei tuoni con quelli delle armi da fuoco.
L’obiettivo del regista è quello di condurre un’analisi psicanalitica del personaggio. Quindi in primo piano c’è il percorso mentale del protagonista, che vorrebbe essere scienziato invece che miliare, per un’ansia di razionalità e una sete di concretezza che non ritrova né tra le mura domestiche, né con le persone che ama, né nel proprio quotidiano, né nel proprio animo. L’insinuarsi del tarlo della non certezza della paternità apre una falla in una mente debole e dall’equilibrio precario (“io non credo nell’eternità, la mia bambina è la mia vita”), al punto che per lui l’unica salvezza possibile è regredire al mondo dell’infanzia (“mi avete tolto la mia idea di eternità”), un mondo sereno e pieno di fiduciose aspettative, un mondo in cui lui vive tranquillo, un mondo che lui vede dominato dalle donne della sua vita (“tutte le donne sono state mie nemiche”), moglie, figlia, balia vestite in maniera identica: unica, molteplice, agognata e confusa figura materna. Al punto che accetta di buon grado di farsi mettere la camicia di forza, una camicia di forza che terribilmente affiora tra i regali sotto un enorme albero di Natale che sia lui che la moglie hanno addobbato. Straziante il momento in cui lui piange seduto sui regali messi sotto l’albero con una bambola di pezza in mano ed il prendere la camicia di forza da un pacco regalo è straziante.
In un ambiente rigorosamente e gelidamente nordico, spiccano alcuni tratti dei personaggi, evidenziati a momenti in modo caricaturale e con repentini cambi di registro linguistico. Bravissimi nei ruoli del capitano Adolf e della moglie Laura Umberto Orsini e Manuela Mandracchia. Azzeccate scene e costumi di Maurizio Balò, perfette le luci naturalistiche di Gigi Saccomandi, perfetti i suoni di Franco Visioli.
Visto a Macerata, teatro Lauro Rossi, l’8 febbraio 2006
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Verdi
di Padova
(PD)