La Casa del Teatro Ragazzi e Giovani è uno dei teatri più interessanti del panorama torinese. Credere che in cartellone si trovino spettacoli adatti esclusivamente ai bambini è un'ingenuità. In linea di principio se uno spettacolo funziona sui bambini vuol dire che anche con un pubblico adulto otterrà un buon risultato. Sempre che si tratti di uno spettacolo di qualità, non di quelli, per fortuna sempre meno frequenti, che trattano i bambini come utenti dalle ridotte capacità critiche.
Si apre la stagione di questo Teatro con “Il paese dei ciechi”, drammaturgia tratta dal racconto omonimo di Herbert George Wells, adattato, diretto ed interpretato da Nino D'Introna.
In scena con lui due musicisti del panorama torinese, i Supershock, e null'altro, solo la capacità affabulatoria dell'attore, pochi elementi scenici e una drammaturgia di luci eccellente, realizzata da Andrea Abbatangelo.
Teatro, vero, autentico. Quella magia che trasforma piccole luci in stelle, un tamburo in luna, un angolo di palco in valle erbosa.
La storia è bella ed accattivante, anche se talvolta il linguaggio eccessivamente letterario non aiuta l'attore e lede al ritmo dell'azione.
Nino D'Introna con semplici espedienti scenici fa vivere una moltitudine di persone, basta un effetto eco del suo microfono per cambiare tutto e vedere, grazie anche alla minuziosa partitura fisica, ogni singolo personaggio nella sua interezza. In alcuni punti della storia ci si perde, complice una non efficiente messa a fuoco dell'azione drammaturgica e una vaga tendenza dell'attore all'autocompiacimento vocale. Infatti durante la serata è accaduto un incidente magico: il microfono di D'Introna d'un tratto a smesso di funzionare. In quel momento l'interprete ha dimenticato d' ascoltarsi ed ha incanalato tutte le sue forze nella necessità di comunicare con il pubblico, cercando di sovrastare il volume della musica dal vivo. In quei momenti la storia arrivava con tutta la sua potenza evocativa, scevra da quel meccanismo che antepone il suono di una frase al suo senso.
Eccellenti le musiche, eseguite con ottima sensibilità dai due musicisti. Paolo Cipriano e Valentina Mitola; non si limitano solo a suonare, ma sono parte integrante e visiva di questo spettacolo. La loro fisicità inquietante, l'immobilità statuaria, il senso della misura e del ritmo. Non sono musicisti di scena, ma musica della scena.