Continua la stagione in streaming del Teatro Filarmonico di Verona. Dopo il Barbiere di Siviglia, la fondazione scaligera vi porta in scena due atti unici, il primo dei quali spunta dalle nebbie del tempo: è Il Parlatore eterno di Ponchielli, rappresentato a Lecco - città natale di Ghislanzoni, il suo librettista - nell'ottobre 1873, e là riesumato solo nel 2000.
Con esso il musicista cremonese si cimentava in un curioso recupero retrò, qualche anno prima del successo che otterrà prima con I Lituani e poi La Gioconda. Perché in pieno clima scapigliato, va controcorrente e recupera lo spirito delle farse donizettiane di quarant'anni prima, quali Rita, Il campanello, Betly.
Un protagonista unico, fra tanti comprimari
Solo che in questo monodramma comico, come ne Il maestro di cappella di Cimarosa, canta un solo un personaggio – Lelio Cinguetta, aspirante alla mano di Susetta – mentre gli altri personaggi emettono monosillabi, o al massimo fanno da coro. La sua inarrestabile parlantina zittisce infatti tutti, costringendoli al silenzio. Personaggio di estrema simpatia il giovane Lelio, medico squattrinato, trova nel baritono Biagio Pizzuti un interprete perfetto, in grado sia di esprimerne la logorroica loquacità, sia di sciogliere baldanzosamente il travolgente canto sillabato, che riecheggia volutamente una tradizione buffa in bilico tra Rossini ed appunto Donizetti.
Fatti i conti, la brevissima, spumeggiante partitura di Ponchielli ha i suoi lati interessanti - trasparente orchestrazione, vivace inventiva melodica - riuscendo ancora a piacere; anche per la scorrevole, divertita, surreale regia che dobbiamo a Stefano Trespidi. La scena unica è di Filippo Tonon, le luci di Paolo Mazzon.
Dopo il riso, il gelo del male
Cambio repentino d'atmosfera con Il Tabarro, il lavoro più verista di Puccini, al limite di certo espressionismo. E con Turandot, il più moderno. Doveva andare in scena al Filarmonico a maggio 2020, insieme a Le Villi; cancellato causa Covid 19, ha visto la luce in settembre a Sassari, torna ora al punto di partenza. La regia a quattro mani di Piero Maranghi e Paolo Gavazzeni avanza rispettosa delle didascalie del libretto; teatralmente funziona come un orologio, innestandosi a perfezione nella musica, e restituendo allo spettatore tutta la cupezza tragica del soggetto.
Rassicurante il lato visivo curato da Leila Fteita – il barcone c'è, il molo sulla Senna pure, sullo sfondo un cielo che dal tramonto passa all'oscurità della notte – con un leggero spostamento d'epoca: guardando i costumi di Silvia Bonetti, il pensiero corre subito a Il porto delle nebbie, il celebre film noir di Marcel Carné del 1938.
Non c'è dramma senza musica
Convincente pure il versante musicale. Elia Fabbian rende un Michele tetro e introverso nel carattere, mettendo in campo sobria misura interpretativa – nessun eccesso plateale nel suo personaggio – oltre che varietà ed incisività vocale.
Maria José Siri risolve con eccezionale efficacia, tanto attoriale quanto vocale, la non facile figura di Giorgetta; Samuele Simoncini è un generoso ed elettrizzante Luigi, di cui domina senza fatica l'ardua tessitura. Appropriati sia la Frugola di Rossana Rinaldi, sia il Tinca di Francesco Pittari. Per finire, Davide Procaccini è il Talpa, Grazia Montanari la prima amante/voce di sopranino, Riccardo Rados un venditore di canzonette/il secondo amante, Dario Righetti la voce di tenorino.
Una concertazione con i fiocchi
Ho lasciato per ultimo il direttore, Daniel Oren: ha un tocco leggero e divertito in Ponchielli, ma è in Puccini che sguazza come un pesce, forte anche dell'annoso affiatamento con gli strumentisti areniani che ha davanti. Concertatore duttile e fantasioso - nondimeno a volte un po' troppo energico e portato all'esuberanza - qui sa mantenere un buon equilibrio sonoro, pur senza rinunciare ad esprimere slancio, vigore, mordente.
Risultato: giusta proporzione tra le voci, una resa voluttuosa dei colori, notevole attenzione ai timbri; e su tutto un andamento febbrile, nervoso, che esalta il serpeggiare angoscioso ed irrequieto dell'orchestra.