Prosa
IL PIACERE DELL'ONESTà

COM'È SCOMODA L’ONESTÀ!

COM'È SCOMODA L’ONESTÀ!

Un grandissimo Leo Gullotta rende incredibilmente attuale Angelo Baldovino, un uomo fallito anche e soprattutto umanamente se accetta di sposare Agata Renni - una ragazza di buona famiglia che attende un figlio dal marchese Fabio Colli, ‘rispettabile’ esponente della locale nobiltà con il non piccolo handicap di essere sposato - spinto dalla necessità di far quadrare una precaria situazione economica.
Almeno così Baldovino è presentato a Colli e alla madre di Agata da Maurizio Setti, un ‘dandy’ di provincia, cugino del marchese e compagno di scuola del protagonista. E in questi termini è accettato da tutti, compresa la giovane Agata che dopo qualche dubbio iniziale si piega alla necessità di salvare le apparenze sociali e la ‘reputazione’ delle due famiglie.
Ma la brillante soluzione ha un imprevisto punto debole proprio in Baldovino che, indossata la ‘maschera’ dell’onesto, diventa implacabile ‘vestale’ di un’onestà difesa e imposta con argomenti che inesorabilmente si scontrano con quella ‘apparente’ della società. Esemplare l’incontro/scontro con il parroco sulla non opportunità di battezzare in casa il bambino, in cui gli ‘onesti’ argomenti di Baldovino focalizzano anche l’ipocrisia di una Chiesa che per accondiscendere alla volontà dei potenti (il marchese) e ai propri interessi (terreni) è disponibile a piegare l’essenza del battesimo a esigenze di prestigio.
Sorge nello spettatore il dubbio se Baldovino indossi la maschera dell’onestà intransigente per rendere plausibile il proprio ruolo apparente, o se abbia accettato il matrimonio per prendersi una rivincita sulla società ‘perbene’ (che lo aveva emarginato) facendone emergere la doppiezza.
Con amaro pessimismo Pirandello - in questa come in altre opere - denuncia come l’onesto sia un ‘diverso’ in un mondo in cui conta solo l’apparenza dell’onestà e quindi (come tutti i diversi) debba essere emarginato - se non espulso - adottando qualsiasi mezzo, anche il più abietto.
Lo scrittore agrigentino è quanto mai attuale in una realtà mediatica come la nostra in cui contano soprattutto le apparenze e si tende a denunciare e condannare non il disonesto (specie se potente), ma chi la disonestà denuncia.
Nella sua bella messa in scena l’ottimo regista Fabio Grossi s’ispira a una poesia sull’onestà scritta da Palazzeschi nel 1913 e ambienta la vicenda in una casa di cristallo immersa in un prato verde, modo ironico per mostrare ‘onesti’ comportamenti che necessiterebbero di mura molto spesse per essere nascosti.
Accanto a un Leo Gullotta protagonista di un’interpretazione ricca di sfumature che coinvolgono lo spettatore nel dramma umano di Baldovino, una compagnia che si muove senza incertezze, anche se in alcuni casi con eccessiva rigidità.
 

Visto il 21-04-2010
al Nuovo di Milano (MI)