Il primo grande merito de "Il piacere dell'onestà" diretto da Fabio Grossi è stato di aver portato le lucciole in teatro. Deliziose, piccole luci in movimento, anche al teatro Politeama di Catanzaro hanno chiuso il primo atto scendendo insieme alla notte sulla foresta che circonda la casa di cristallo in cui Fabio, Agata e sua madre vivono. Tutto intorno un campo che è in realtà la vita stessa: la madre di Agata e lo stesso Fabio non possono camminarci, vittime di un perbenismo senza confini ma soprattutto senza contenuti, sono terrorizzati al solo accenno a farlo. Agata e il suo promesso sposo, Angelo Baldovino (un Leo Gullotta straordinariamente in forma) invece no: loro sono consapevoli delle loro azioni e ciò che è esterno alla casa non può fare loro paura in alcun modo. Una casa di cristallo, dicevamo, che lo scenografo Luigi Perego per la produzione del Teatro Eliseo ha voluto riprodurre a tutto tondo, sul palcoscenico: dall'esterno si vede tutto, al limite si possono chiudere le porte per non far sentire ciò che si dice, ma quel che succede è evidente a tutti. E' nella struttura, richiamata dalla poesia di Palazzeschi offerta in apertura come una filastrocca per bambini, che risiede il senso dell'opera pirandelliana. A metterlo in scena un gruppo di abili interpreti sui quali ben poco è possibile aggiungere a quanto già detto: di fianco a Gullotta, c'erano Martino Duane (più che convincente), Paolo Lorimer (un felice ritorno dalle nostre parti, sempre azzeccatissimo nel ruolo) e poi Mirella Mazzeranghi, Valentina Beotti, Antonio Fermi, Federico Mancini, Vincenzo Versari. Tutti vittime e carnefici: solo Angelo e Agata riescono a uscire dal giogo cui tutti, civili e religiosi, sono sottomessi. E non detto che ne escano indenni. I costumi in questo spettacolo collaborano al percorso seguito dai personaggi, li aiutano nell'identificazione - netta come in ogni opera del grande agrigentino - ben distinta fra i ruoli, scuri i "colpevoli", bianchi gli "innocenti", marroni coloro che riescono a uscirne quantomeno coscienti della propria condizione, Agata e Angelo. Inutile ancora soffermarci su quanto bravo sia Gullotta: basta un movimento degli occhi a descrivere le complessità dell'anima. Semplicemente straordinario: a lui, ma anche agli altri, la doverosa ovazione finale del pubblico catanzarese, partecipe come non mai, in un silenzio rispettoso, dell'opera andata in scena.
Visto il
30-03-2010
al
Politeama
di Catanzaro
(CZ)