“Il Piacere dell’onestà” è una delle prime commedie scritte da Pirandello, che da uomo del primo Novecento ha ritratto con le sue opere i conflitti dei suoi simili e della società a lui contemporanea, utilizzando una prosa sempre intrisa di quel “moralismo-amorale” dettato anche dalla provincia siciliana in cui egli nacque. Al centro della vicenda di questa commedia abbiamo Angelo Baldovino, praticamente un fallito, un uomo di scarsa moralità, ritenuto pronto ad accettare ogni proposta per guadagno, che accetta di sposare Agata, messa incinta dal già ammogliato marchese Fabio Colli. Baldovino prende però la cosa con serietà e dichiara che nello sposare Agata per finta egli intende finalmente “sposare per davvero l’onestà”, obbligando a se stesso e agli altri uno stile di vita irreprensibile. Fabio, esasperato anche da Agata, che dopo il matrimonio non vuole più avere contatti con lui, crea una società e chiama Baldovino a farne parte, sperando che rubi e accusarlo di disonestà e liberarsi di lui. Baldovino si comporta invece con competenza e rigore morale, risultando d'esempio agli altri. A Fabio non resta che tendergli una trappola; ma Baldovino lo smaschera di fronte ad Agata e, ricordandogli che il tentativo tornerebbe a danno del bambino che porta il suo nome, si dice, comunque, pronto ad andarsene, purché a rubare per lui sia Fabio al quale va accollato tutto il peso dello squallido intrigo. A questo punto tutti, in particolare Agata, lo pregano di rimanere.
Lamberto Puggelli, che è tornato a dirigere questa piece a 25 anni dalla storica edizione con il compianto Alberto Lionello ed Erica Blank, cala l’azione in una scenografia che rappresenta un “non luogo” il cui fondale, posizionato a metà del palcoscenico così da costringere gli attori in uno spazio quasi claustrofobico, è costituito da due enormi specchi frammentati, dalle cui schegge ci arrivano i riflessi distorti e scomposti dei personaggi in azione mescolati alle proiezioni di dipinti della prima metà del secolo scorso, dalle piazze vuote di De Chirico, agli uomini di Magritte, il tutto a suggerirci la perdita di identità sociale dell’uomo del Novecento. Ma la forza dello spettacolo, oltre la suggestioni della suddetta scenografia, supportata da un disegno luci particolarmente indovinato, sussiste nella grossa prova interpretativa degli attori. Giuseppe Pambieri è un Baldovino dapprima freddo, quasi monocorde nella sua pedanteria, poi, una volta divenuto padrone della situazione e delle vite delle sue “vittime”, assume i toni conviviali ed esuberanti necessari per la “facciata” da esporre in società, facciata da cui viene spogliato nell’epilogo in cui diviene dolorosamente vero, donando al pubblico momenti di emozione pura. Lia Tanzi, dal canto suo, nell’interpretare Maddalena ci offre un’ ampissima gamma di toni, al limite del virtuosismo, confermando di essere una delle poche vere “signore” del teatro italiano. Non di meno risultano convincenti Antonio Fattorini, un Fabio sfuggente e smarrito nella sua meschinità, Alessandra Raichi, che conferisce alla sua Agata il giusto vigore, supportata da una fisicità appropriata, per concludere con Nino Bignamini (Maurizio) e Orazio Strabuzzi (il parroco) ottimi interpreti di due personaggi calati perfettamente nell’ipocrisia “pirandelliana”. Una volta tanto quindi uno spettacolo interpretato da attori che non urlano ma recitano, attori di quella qualità di cui purtroppo da un po’ di tempo si sono perse le tracce e di cui il pubblico sente la mancanza, ed infatti ha salutato lo spettacolo con applausi giustamente calorosi.
Visto il
al
Mercadante
di Cerignola
(FG)