La scenografia singolare catalizza per prima lo sguardo dello spettatore, presentando al centro di un boschetto fiabesco e surreale una casetta trasparente che ricorda i versi di Aldo Palazzeschi del 1913 “Io sogno una casina di cristallo (...) ma che sia tutta trasparente: di cristallo. / Non nasconderò più niente ala gente…”. Quel paesaggio e quell’atmosfera vogliono forse sostenere la visione di Fabio Grossi de “Il piacere dell’onestà” che nella sua drammaturgia, pur mantenendo l’intensità e la serietà dell’originale, riprende alcune caratteristiche della favola in cui il “cattivo” si traveste da “buono” e i personaggi “perbene” assumono l’espressione della bestialità. Così, in questa commedia, chi era apparso al sommario giudizio degli altri un disonesto a cui affidare un’azione infame si rivela invece una persona rispettabile e chi agli occhi dei buoni borghesi godeva di alta considerazione, si manifesta per quello che é: un uomo mediocre nelle azioni e nei sentimenti.
Un magnifico Leo Gullotta si presta ad interpretare un riadattamento del testo che omette i termini più obsoleti del linguaggio Pirandelliano, rendendo più che mai vivi e vicini al pubblico contemporaneo i discorsi di Angelo Baldovino. Al suo fianco, si dimostrano all’altezza della prova gli altri protagonisti, spaventati dall’insolito personaggio che vuole condannare le maschere, considerate da tutti una sorta di protezione che preserva le relazioni umane; un uomo che viene a portare ad ogni costo, in questo apparente contesto fiabesco, la “verità” e l’ “onestà”, “oro sonante” – come dice lui stesso – il cui valore non è riconosciuto in una società abituata a soldi di carta – quei soldi che equivalgono alle “costruzioni” che ciascuno innalza attorno alla propria persona.
Ad aprire la commedia sono la madre di Agata e l’amico di famiglia Maurizio: la signora gira ripetutamente attorno alla sua poltrona con fare meccanico, il suo movimento appare obbligato ed innaturale e sta ad esprimere, forse, il nervosismo e l’ansia del personaggio; in contrapposizione al suo stato d’animo c’è l’immobilità di Maurizio che rimane tutto il tempo seduto, forte di una certezza che tutto andrà per il meglio che lo rende stranamente rilassato. Sono questi due personaggi ad anticipare certi discorsi tipici di Pirandello, che verranno poi sviscerati da Baldovino, incentrati sull’apparenza: l’apparenza da “salvare”, l’apparenza vista come un “belletto” che pur non curando il malato lo fa sembrare sano.
Ogni interprete della commedia riesce a dare sfaccettature diverse a quell’unica entità di cui in un certo senso fa parte : la “famiglia” o piuttosto la “società”, in contrapposizione all’unico personaggio di Baldovino: Agata e sua madre, Fabio ed il cugino Maurizio o il socio in affari, il parroco che deve celebrare il battesimo; personaggi, tutti, caratterizzati nel minimo dettaglio eppure accomunati da quel moto di “conservazione” delle apparenze che li porta a domare costantemente la “bestia” dentro di loro, vincolati dal patto stretto col loro salvatore/antagonista che potranno rompere solo a costo della loro apparente onestà.
Visto il
06-03-2010
al
Pirandello
di Agrigento
(AG)