Dopo il successo conseguito con ‘L’uomo, la bestia e la virtù’, la stessa produzione ci riprova con ‘Il piacere dell’onestà’ affidando anche questa volta il ruolo principale a Leo Gullotta e confermando la direzione di Fabio Grossi.
In questo allestimento il regista, ispirato da una poesia di Aldo Palazzeschi, porta al centro della scena un edificio di vetro, una trasparente casa borghese affinché tutti possano guardare per giudicare gli abitanti della lussuosa dimora.
I personaggi stanno cercando di porre rimedio ad un avvenimento immorale: la giovane amante del marchese Colli, che come si suol dire è ‘felicemente sposato’, aspetta un bambino. Per cui per salvare l’onorabilità della nobile famiglia e della ‘casta’ signorina, il padre naturale e la madre della fanciulla mettono in pratica una soluzione ‘edificante’: arruolano Angelo Baldovino, un uomo dalla vita dissennata, per far sposare la giovane puerpera. In cambio gli saranno cancellati tutti i debiti contratti. L’unica condizione che il finto padre deve soddisfare è quella di mantenersi onesto.
Nella casa di vetro assistiamo alle fasi della decisione, alla trattativa con il dissoluto Baldovino, perfino ai preparativi del battesimo del bambino. Partecipiamo al tentativo di intrappolare il finto padre in un’accusa di latrocinio per poterlo ‘liquidare’ dopo il matrimonio riparatore. Assistiamo da testimoni alle iniquità, alle cattiveria, alla disonestà della famiglia ‘perbene’ fino all’imprevisto epilogo: Baldovino dà prova di tutta la sua rettitudine morale nel portare a compimento il suo ‘contratto’, missione svolta per il semplice piacere dell’onestà.
I ruoli dunque si invertono: il nobiluomo civile mostra tutto il suo cinismo e la sua meschinità , il lincezioso Baldovino si dimostra ancora retto e irreprensibile, anche nel rispettare un contratto ormai privo di controvalore; onesto fino all’ultimo, fino a indurre l’oculata neo mamma Agata a convincersi della dirittura morale di Baldovino, al punto di seguirlo dopo essere stato cacciato dal marchese.
Una casa trasparente sul palco dicevamo, ma più che di vetro è sembrata una casa di ghiaccio. Troppo fredda l’impostazione dei personaggi, troppo gelide spesso sono sembrate le interpretazioni del marchese Colli e di mamma Maddalena, forse troppo ‘borghesi’ al punto da non forare la quarta parete per emozionare il pubblico, per renderli partecipi di quel che per loro era un dramma da risolvere.
Meno male che a questo ci ha pensato Leo Gullotta che ha dato anche questa volta prova di una maturità artistica eccezionale: in un personaggio impostato in veste sagace e colta, ha trasmesso pathos e umanità, semplicità e maestria, tensione e padronanza, strappando un irresistibile applauso al suo pianto finale.
Perché finisce piangendo Baldovino, e non di felicità per il gesto solidale di sua moglie Agata: piange perché è cosciente che l’essere onesto lo fa diventare un rifiutato, un diverso, un’eccezione in un mondo , a quel tempo, di maschere perbeniste. Oggi la disonestà non ha più bisogno di simulare.
Visto il
04-03-2010
al
Pirandello
di Agrigento
(AG)