Passato di fatto in mano d'altri il testimone del Festival dell'Operetta, manifestazione capace di richiamare a Trieste frotte di appassionati, intanto il Teatro Verdi qualche suo contributo alla 'piccola lirica' continua comunque a darlo.
Riproponendo, per esempio, in questo luglio torrido Il pipistrello di Johann Strauss junior. Vale a dire la quintessenza stessa dell'operetta viennese, benché il soggetto ricalchi un fortunato vaudeville francese del 1872 Le Réveillon di Meilhac ed Halévy, coppia d'autori che spopolava nei boulevards parigini.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Vendetta per un tiro birbone
Se la vendetta messa in atto dal dottor Falke per ricambiare uno scherzo ben poco simpatico dell'amico Gabriel Eisenstein fa da motore alla storia, il leit motiv di Die fledermaus consiste nel fatto che buona parte dei suoi protagonisti finge d'essere qualcun altro, mentendo senza ritegno.
Circostanza che innesca tutta una serie di equivoci, ruotando intorno alla sontuosa soirée presso la villa del giovane e ricchissimo Principe Orlofsky. E' il complice alquanto blasé di Falke, la cui rivincita va a compimento nel terzo atto, ambientato nella prigione cittadina dove il direttore Frank prima e Gabriel si presentano a mezzanotte alquanto alticci, proveniendo dalla festa, seguiti a ruota dagli altri personaggi.
In tal modo Strauss ed i suoi librettisti Haffner e Genée creano una delle situazioni più divertenti e folli che possiamo incontrare in un'operetta, immettendo nella ricetta parigina della pochade una buona dose di salsa viennese.
Il tramonto della Belle Époque
L'allestimento triestino è di alto livello, nell'insieme molto riuscito e molto seducente. Il regista Oscar Cecchi traspone la storia nella Belle Époque - precisamente nel 1914 – anche se la scena s'apre su un moderna abitazione, con la TV accesa.
Ma durante l'ouverture l'orologio scorre all'indietro, e quando si riapre il sipario si scopre un parallelo fra l'attentato di Sarajevo, lo scoppio della Grande Guerra e l'attuale conflitto fra Russia e Ucraina. Accostamento non peregrino, ma dal punto di vista drammaturgico a parer nostro superfluo.
Per il resto, tutto lo spettacolo scorre piacevolmente, grazie ad una regia spedita e leggera, che non fa violenza al libretto; anzi lo asseconda e arricchisce con trovate divertenti ed incisive – come l'irruzione di alcune figure in sala, ad inviare al ballo qualche spettatore - gestendo con brio e maestria anche l'affollatissima soirée dell'annoiato principe.
Essenziali ed adatte allo scopo le scene di Paolo Vitale, che disegnano con pochi, idonei tratti ora l'interno borghese di Eisenstein, ora la pretenziosa dimora di Orlofsky, ora la prigione cittadina. I bei costumi, pertinenti all'epoca prescelta, non recano firma.
Un'orchestra vivace come una coppa di champagne
Sceglie la via d'una sobria eleganza, tutta in punta di fioretto, la concertazione di Nikolas Nägele, alla testa d'una orchestra – quella del Verdi – scattante e spumeggiante come una coppa di champagne. Conveniente scelta dei colori, suono ben curato, ritmica effervescente, dinamiche saggiamente variate. Volendo eccepire qualcosa, un pizzico di brio e sfrenatezza in più avrebbe conferito maggiore dinamismo alla sua concertazione. Il Coro triestino, curato da Paolo Longo, si è distinto per precisione e scioltezza.
Recita e canta con garbo e ammiccante vivacità il suo Gabriel Manuel Pieratelli; piace molto al pubblico perché sa essere istintivamente simpatico facendo passare in secondo piano che il ruolo, solitamente consegnato a figure baritonali, comporta qualche disagio per un tenore lirico come lui.
Brillante Rosalinde è il soprano Maria Torbidoni, forte di un timbro serico e pastoso nei medi, luminoso negli alti; la tecnica è solida, la naturalezza scenica ottimale, resta da aggiungere al suo personaggio un pizzico in più di maliziosità femminile.
'O core 'e Napule
Alessandro Scotto di Luzio è perfetto nella parte di Alfred, focoso e assillante tenore italiano, genere artistico di cui riproduce in scena vizi e virtù. Furbizia ancillare e civetteria non difettano alla soubrette Federica Guida, piccante Adele sostenuta da una vocalità interessante e ben amministrata.
Ora i bassi: Fabio Previati tratteggia al meglio - sia sulla scena, sia nel canto – il vendicativo Falke; Stefano Marchisio rende magistralmente il carattere un po' nevrotico di Flake. Nel ruolo en travesti di Orlofsky, timbro vellutato ed un certo fascino ambiguo sono i punti forti del mezzosoprano russo Anastasia Boldyreva. Andrea Binetti rende con brillantezza e travolgente comicità la figura del secondino Frosch; nei ruoli di Ida e dell'avvocato Blind troviamo i bravi Federica Vinci e Andrea Schifaudo.
I giovani del Corpo di Ballo del Teatro Nazionale Sloveno di Lubiana hanno dato vita alle coreografie di Lukas Zuschlag, molto apprezzate specie nei due momenti interamente loro dedicati: le danze, durante l'intrattenimento, sulle note del valzer An der schönen blauen Donau e della polka Unter Donner und Blitz.
Unica nota dolente, il fatto che i soliti frequentatori del Verdi abbiano preferito domenica andare al mare o nelle gostiline del Carso. Il teatro, infatti, era semi deserto. Che peccato!