Lirica
IL PIRATA

Ancona, “Il pirata” di Vincen…

Ancona, “Il pirata” di Vincen…
Ancona, “Il pirata” di Vincenzo Bellini EPPURE MI ERA SEMBRATA PROPRIO MARIELLA DEVIA.. Eppure durante tutta la recita mi era sembrata proprio Mariella Devia.. Invece forse era Diego Armando Maradona, chi altri può suscitare un tale tifo da stadio? “Il pirata” è un'opera che oggi viene rappresentata assai raramente, non perchè non abbia belle pagine, tutt'altro, ma per le difficoltà di interpretazione vocale. Invero musicalmente ha pagine di intenso lirismo e pagine di romantica intimità. Un atto di grande coraggio per il teatro dorico questo nuovo allestimento, in una stagione mutila con solo due titoli operistici in cartellone. “Il pirata” si apre con una scena di naufragio, un naufragio che è solo nelle luci e nei movimenti coreografici, un naufragio che è un moto dell'anima, una condizione esistenziale, comune ai protagonisti: Imogene, costretta a sposare Ernesto per salvare la vita al padre, Gualtiero che amava riamato Imogene e viene mandato in esilio da Ernesto per motivi politici. La scenografia di Pier'Alli è vuota come il cuore, essenziale come la vita; nei costumi, anch'essi disegnati da Pier'Alli, linee essenziali e rimandi ad una neoclassica grecità, più per un senso di incombente tragedia che per il climax storico. L'incipit è caratterizzato dal coro immobile o con movenze da coreuti di tragedia greca, molto efficace e suggestivo. L'aria di ingresso di Gualtiero, “Nel furor delle tempeste”, è affrontata da Josè Bros con sicurezza, sebbene gli acuti appaiano forzati, ma va decisamente meglio della prima, quando evidenti difficoltà nel registro avevano portato a impuntature in alcuni passaggi. Così non è stato nella recita pomeridiana. Bros ha evitato quelle incertezze, adattando la partitura alle sue caratteristiche vocali, con note più opportune, per cui non è incappato in vistose scoperture. Il timbro è adeguato, lo squillo potente ed il controllo maggiore, come già dimostra nella successiva “Per te di vane lagrime”. Mariella Devia esordisce nel ruolo di Imogene ottimamente; “Lo sognai ferito, esangue” è cantata con giusto pathos, mentre “Sventurata, anch'io deliro” le offre la possibilità di sfoggiare un fraseggio curatissimo. La Devia è la più grande interprete di belcanto che ci sia oggi in Italia; in questa esperienza ha confermato di esserlo e di avere un perfetto registro acuto e un pieno registro medio; qualche lacuna si è invece evidenziata nel grave, apparso meno corposo di quanto invece avrebbe dovuto essere: ciò non toglie che la sua interpretazione sia stata magistrale e che lei sia la trionfatrice assoluta dello spettacolo. Momento molto intenso è il duetto Imogene-Gualtiero, suggestivamente ambientato in uno spazio dominato da lame di luce: tagli nel fondoscena simboleggiano colonne “vuote” con su capitelli di marmo bianco, da cui penetrano geometriche luci che squarciano l'oscurità del palcoscenico, dando al tempo stesso l'idea della fuga e della prigione. Peccato che una non adeguata illuminazione dei cantanti ha creato, più che un interessante effetto luce-ombra, un fastidioso buio in alcuni punti del palco. Il duetto è centrale nella storia e nell'interpretazione: Mariella Devia tratteggia a tutto tondo una figura ricca di sfumature, dai dubbi iniziali sull'identità del naufrago alla conferma che è l'antico amore, dalla passione che si ravviva, mai sopita, alla difesa della vita del figlio, minacciato da Gualtiero. Imogene rivela un temperamento tragico ma con un sentimentalismo opposto a quello di Medea: Medea uccide i figli per punire il marito, Imogene vuol salvare il figlio ad ogni costo. La cavatina “Sì, vincemmo, e il pregio io sento” introduce l'altro trionfatore della serata, Vladimir Stoyanov, con quell'ardua nota finale affrontata con sicurezza ed adeguati mezzi vocali, perfetto per il ruolo di Ernesto. La scena finale del primo atto è impostata su un gioco di geometriche simmetrie, con pochi, rarefatti, sospesi movimenti; l'orchestra la affronta volumetricamente in modo importante, giungendo quasi a soverchiare la Devia. Il secondo atto si apre con il quadro scenicamente meno felice, quattro bianche erme e una specie di megascreen che rimanda l'immagine dipinta di un vascello nella tempesta. Perfetto il duetto iniziale tra la Devia e Stoyanov. Invece Bros tende a nasalizzare alcuni suoni, come nell'aria “Vieni, cerchiam pei mari” ed a rallentare il ritmo, come in “Tu vedrai la sventurata”, cantata con buona tonalità ma con un tempo che sembra un larghissimo. Emozionante il quadro finale, con un cielo corrusco, venato di viola, il coro con gesti esasperati e fissati in un'immobilità che simbolicamente rimanda all'eternità del dolore. L'attesa scena della pazzia di Imogene, con i tagli alla partitura, diventa la scena finale: certo è che, stante la rarità delle esecuzioni, ci si aspettava un'integrale. L'introduzione è affidata a arpa e oboe, il coro alza le braccia al cielo, quasi a sostenere simbolicamente il peso del patire di Imogene, che cammina su una pedana sospesa nel vuoto, nel cielo rabbuiato, con l'abito svolazzante come le ali della follia. E la Devia non ha esitazioni, è una macchina da guerra per cantare. Il pubblico, giunto da ogni dove per ascoltarla, impazzisce per lei. L'orchestrazione dell'opera si regge sui fiati e su alcune sezioni degli archi e la Filarmonica Marchigiana, affidata alle mani sensibili ed esperte di Bartoletti, risponde in modo adeguato, nonostante una certa tendenza al rallentare il ritmo, sempre recuperato dal Maestro. Nel cast la debole Adele di Nicoletta Zanini, il convincente Goffredo di Ugo Guagliardo e l'incolore Itulbo di Luca Casalin. Il Coro lirico marchigiano, diretto da David Crescenzi, non convince appieno in questa occasione in cui l'apporto del coro è notevole nell'economia dell'opera. Nel complesso uno spettacolo pulito ed elegante, realizzato con molto equilibrio e razionalità, che convince fino in fondo, pur senza emozionare. Il pubblico ha esaurito ogni recita ed ha tributato ai bravi e coraggiosi cantanti applausi interminabili e un delirio di urla a scena aperta ed alla fine. Un trionfo. Visto ad Ancona, teatro delle Muse, il 28 gennaio 2007 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Delle Muse di Ancona (AN)