Il dramma si svolge, in precario equilibrio, lungo il crinale che lega e distingue la fredda oggettività del prezzo dall’umana soggettività del valore. La rilettura che Massimo Popolizio, attore e regista dello spettacolo, offre del testo di Arthur Miller, ne mette in risalto l’assoluta modernità.
Ad attendere lo spettatore, in palcoscenico, una catasta di vecchi mobili, ammassati in un appartamento, certo disabitato. O forse no: compare in scena Victor (Popolizio) e mette sul giradischi, a suo dire, “un ballabile”. Sembra spensierato nell’aggirarsi a ritmo di musica, solo, in un luogo che gli è, o gli è stato, caro.
Però, non lo attende una giornata facile: ha deciso di vendere tutti gli arredi di casa dei suoi genitori, ora che suo padre, di cui per lungo tempo si è preso cura, non c’è più. Eppure, nonostante le insistenze della moglie Esther (Alvia Reale) non sa, in cuor suo, risolversi a definire un prezzo per quegli oggetti.
Di tanto in tanto, a tenere sempre vivo il ritmo della rappresentazione, così come a ricordare l’opprimente senso di perenne precarietà, un forte rumore fuori scena. Lì vicino - raccontano i personaggi - molti palazzi sono in demolizione. Anche Victor, forse, si è deciso: ma non ha bisogno di nessuna impresa, per smantellare i suoi ricordi. Cerca soltanto, affannosamente, il coraggio. O la rabbia.
Victor non è un vincente, come gli ricorda, spietato, il fratello Walter (Elia Schilton), uomo di successo, in un confronto che riguarda solo superficialmente il destino di tavoli, armadi, sedie e scuote, invece, nel profondo, divergenze e rancori che attraversano due intere esistenze.
Valore e prezzo, indecisione e risolutezza: forse, almeno in alcune occasioni, ingenuità e cinismo. La via del massimo prezzo che si può strappare, con ogni mezzo, è semplice, chiara, ci ricorda Walter: questa frase lapidaria, in controluce alla contemporaneità, strappa un amaro sorriso. Forse, almeno stavolta, c’è anche un’altra possibilità per Victor.
Pur non del tutto convinto della sua scelta, si è risolto a contattare Gregory Solomon (uno straordinario Umberto Orsini, ndr.), anziano commerciante di mobili usati che, virtù rara, sa sorridere alla vita senza arrendervisi. Forse la dignità di Victor e la gentile ironia di Solomon, insieme, potranno levarsi oltre il rumoroso grigiore di gesti dovuti e malcelati egoismi elaborando, faticosamente, un dialogo che valga la pena ascoltare. E ricordare.