La struttura stessa che Shakespeare ha voluto dare al suo Racconto d'inverno mette in luce, già di primo acchito, come la pièce veda coesistere in sé tutti gli elementi della tragedia e della commedia, quest'ultimi evidenziati non solo dalla presenza del lieto fine. La bipartizione dell'opera è chiara: i primi tre atti hanno le caratteristiche di un vero e proprio dramma a tinte fosche, gli ultimi due mostrano invece un cambio di registro, sottolineato dall'intervento del Tempo, e si orientano verso tratti decisamente più leggeri.
Tema cardine della prima parte è quello della gelosia, un sentimento folle, che si autogenera e che porta alla distruzione e dissoluzione di tutto ciò che conta nella vita, lasciando sul fondo il retrogusto amaro del rimorso e del pentimento; la seconda parte si arricchisce, invece, di scene bucoliche, di danze pastorali e vede, nella versione originale, l'introduzione delle figure dei satiri.
L'allestimento di Ferdinando Bruni e Elio de Capitani ha il grosso limite di enfatizzare enormemente gli elementi comico-grotteschi della vicenda, finendo così per banalizzare un testo che contiene in sé rimandi colti alla commedia antica, qui completamente scomparsi a vantaggio dello sketch da cabaret o della battuta nello stile della commedia dell'arte. Poco felici ci sono parsi anche l'espediente di far parlare i vari personaggi con gli accenti regionali italiani più disparati, l'idea di identificare la figura di Cleomene con quella di un cardinale che in modo totalmente incongruo finisce poi per essere depositario del responso dell'oracolo di Apollo, la decontestualizzazione totale del personaggio di Autolico che qui veste i panni di una figura da avanspettacolo del Novecento e l'introduzione di una caricatissima trattora facente le veci del pastore shakespeariano.
Bianca ed essenziale la scena: i momenti topici vengono sottolineati dalla comparsa di immagini, tratte da dipinti cinque o seicenteschi, calate sulla parete di fondo.
Buone le capacità attoriali di gran parte del cast: pregevoli il Leonte di Ferdinando Bruni e il Polissene di Cristian Gianmarini, per certi versi magistrale l'Ermione di Elena Russo Arman, ferma, commovente, mai patetica; coinvolgente l'energica Paolina di Sara Borsanelli, convincente il Camillo di Nicola Stravalaci.