Ancona, teatro delle Muse, “Die Entführung aus dem Serail” di Wolfgang Amadeus Mozart
LA TURCHIA E’ PARTE INTEGRANTE DELL’EUROPA
La scrittura de Il ratto dal serraglio si pone dopo Idomeneo, quando Mozart è cosciente della propria originalità e persegue una concezione di teatro musicale rivoluzionaria nella sua capacità di rinnovare dall’interno le forme tradizionali. La vicenda è ambientata nella realtà terrena e al tempo stesso immersa in un’atmosfera da racconto di fantasia per dell’ambientazione esotica. Dominante è lo spirito di “gioco”, dove si compongono ragione e sentimento, nel perfetto equilibrio di materia e forma.
A partire dal Seicento una serie di “capitolazioni”, frutto dell’alleanza tra impero ottomano e Francia, consentivano a quest’ultima, nei territori occupati dai turchi, libertà di culto e di commercio, esenzione dalla giurisdizione locale, penale e civile. Questa tolleranza sedimentò nella cultura francese prima ed europea poi l’idea di una indole turca liberale e magnanima, convinzione particolarmente diffusa nel Settecento, quando al furore di contrapposizione ideologica (Tasso ed Ariosto, ad esempio), si sostituisce una più serena e addirittura benevola considerazione. Da Montesquieu a Voltaire, pensatori e letterati (alcuni con evidente mitizzazione vedono in quella diversa civiltà un mondo più laicamente libero di pregiudizi) affermano con forza i principi della pacifica convivenza e della comprensione al di là del fanatismo, oltre a ricercare l’esotismo, cioè il desiderio di occuparsi in maniera sorprendente di luoghi, genti e costumi diversi. Significativo è che anche la vita quotidiana degli occidentali, specie nelle città di mare ed in quelle più cosmopolite, abbia subìto influenze orientali, evidenti maggiormente in talune fogge degli abbigliamenti (turbanti, caftani, copricapo ricchi di pennacchi).
Inevitabile che anche la musica recasse traccia di questo gusto particolare. Prima che le ambientazioni esotiche del melodramma, “alla turca” indica proprio il deliberatorio proposito di rifarsi alle musiche delle bande dei riottosi soldati dell’impero ottomano (protagonisti di mille ribellioni verso il potere centrale), che avevano come strumenti distintivi l’ottavino, il triangolo, i timpani e la grancassa.
Questo tipo di strumentazione si ritrova nell’ouverture de Il ratto dal serraglio e compare periodicamente nella partitura, fino al vaudeville finale. L’Orchestra Filarmonica Marchigiana è apparsa lacunosa ed incerta, soprattutto nel secondo atto, con numerose, evidenti difficoltà. Il maestro Guschlbauer non è riuscito a far risaltare la corda gioiosa, che è la cosa più bella della partitura, per cui tutto è sembrato cupo, senza il guizzo mozartiano, tutto meno che musica ariosa, leggera ed ironica (a partire dell’ouverture, forse a causa anche del profondo golfo mistico del teatro di Ancona che attutisce l’emissione strumentale).
Del cast è apparso convincente solo Josè Bros, al debutto nel ruolo, anche se per bravura e sicurezza non si direbbe. Nella prima aria il tenore definisce a tutto tondo il ritratto di un uomo giovane ed innamorato, la voce è calda e luminosa e tonalmente appropriata, navigando con decisione tra le speranze di nuove gioie per il prossimo incontro con l’amata e perduta Konstanze ed il dolore per il ricordo dei dolori passati. Nel quartetto del secondo atto è facile per lui emergere sugli altri. Il ruolo di Konstanze richiede un soprano di grandi possibilità virtuosistiche; Sine Bundgaard ha bella voce ma scarsi mezzi. Nell’aria del primo atto il ritmo è rapidissimo ed il soprano è costretto a riprese di fiato fulminee, di fortuna (a “rubare i fiati”) troppo evidenti, che appesantiscono l’emissione. Nella triste “Welcher Wechsel herrscht in meiner Seele”, che culmina nel dolorosissimo “Traurigkeit ward mir zum Lose” (mio destino fu il dolore) la danese ben adatta il suo timbro sull’accompagnamento dell’oboe, ma è poco partecipe; la tonalità le si addice nell’espressione del dolore, ma, seppur dotata di un buon registro centrale, negli acuti la voce spinge all’improvviso e sfugge al controllo. Deludenti le prestazioni vocali di Magali Léger (Blonde) e Loic Felix (Pedrillo), i quali però mostrano grandi capacità attoriali. Il ruolo di Osmin avrebbe richiesto un basso profondo con ampia tessitura e Reinhard Dorn è apparso quasi “ovattato”. Completava il cast Markus John nella parte solo parlata di Selim Pasha.
Ero molto curioso per Stephen Medcalf, anche per il recente Dama di Picche di Cajkovskij che ho visto alla Scala in febbraio. Lo spettacolo essenziale congegnato dal regista e della scenografa Bywater non mi ha colpito né per novità di idee né per bellezza, riuscendo invece a deludere. Bellissima la scena della camera da letto di Selim, luce calda, lucernario sul tetto, grata in legno sul muro di fondo, tende sulle porte, ampio letto, cuscini, ragazze: sembrava uno degli splendidi quadri degli orientalisti italiani (penso ad Alberto Pasini, ad esempio). Azzeccata l’idea del quartetto con uomini e donne separati da una grata: le donne sono ancora prigioniere, gli uomini solo intrusi. Per il resto sono solo muri che ricordano per gli archi ribassati una certa architettura ottomana e per la presenza di grate l’idea dell’esclusione, della clausura, della separazione, anche se la poca profondità più che l’idea della claustrofobia dà il senso semplicemente della mancanza di spazio. E nel secondo atto una scala inutilmente avanza. I cantanti, infine, sono lasciati ai gesti abitudinari di ogni produzione operistica.
Il ratto dal serraglio, in coproduzione con il Lirico di Cagliari, anticipa le celebrazioni mozartiane, dopo lo straordinario Idomeneo allestito da Pizzi per la riapertura del teatro e Il re pastore dell’anno successivo.
I temi e l’atmosfera musicale del Ratto tratteggiano bene lo spirito turco, anche quello odierno, per cui spero che avvenga presto l’ingresso di questo straordinario e affascinante paese nel contesto dell’Europa unita.
Visto ad Ancona, teatro delle Muse, il 4 novembre 2005
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Massimo Bellini
di Catania
(CT)