Prosa
IL RE RIDE

Il tiranno e la vittima

Il tiranno e la vittima

Se Gloucester fosse innocente? Se Riccardo fosse una vittima, una vittima sì, e non il carnefice. Che colpa può avere infatti un uomo determinato a regnare, il cui unico scopo nella vita è quello di riempire, in una maniera o nell’altra, un vuoto di potere; un uomo che si fa crosta di carne intorno a un ideale - un ineludibile obiettivo di vita - che tutto sacrifica ad esso, perfino l’amore. In una situazione in cui un re vecchio e malato è incapace di operare scelte in maniera lucida e si affida alla magia o a machiavellici vaticini per dirimere spinose questioni dinastiche, il rischio che il potere finisca nelle mani di troppo fiacchi statisti, corrivi regnanti il cui operato non sopravvivrebbe all’ultima sillaba del loro gnomico chiacchiericcio, è sempre in agguato. Affidare la scelta di chi dovrà ereditare un regno all’intuito morale di una fantastica creatura metà uccello e metà leone è lecito tanto quanto trucidare il proprio fratello per impossessarsi di quello stesso regno. Il potere, la cui giustificazione non è fondata sulla fratellanza, non può non ingenerare in coloro che lo esercitano sentimenti oscuri come il sospetto e l’odio; un tale potere non può non dare vita, cioè, alla tirannide. Il tiranno, del resto, è vittima tanto quanto lo sono coloro del cui sangue egli si è macchiato; questo perché, nonostante l’apparente arbitrarietà delle sue scelte, anch’egli soggiace alla tirannide di una storia vissuta come un valore imposto, una storia come inevitabile catena di delitti, e non come frutto di una libera scelta.

Al Nuovo Teatro Sanità in Piazzetta San Vincenzo, nel cuore del quartiere della Sanità a Napoli, il 22 e il 23 di novembre è andato in scena lo spettacolo di Luisa Guarro dal titolo Il re ride. Una favola dark. La regista, che à anche autrice del testo dello spettacolo, notomizza l’uomo e i sistemi eidetici sui quali si fonda il potere con la tragica levità del suo tono favolistico. La scena è essenziale: due alberi spogli, posti davanti alle quinte laterali, incorniciano un pesante scranno regale; quest’ultimo è montato su ruote e svela all’occorrenza il suo lato posteriore che è costituito da un pallido simulacro di casa, una stilizzata palazzina bianca simbolo delle marmoree e asettiche verità assolute sulle quali illusoriamente si costruisce il quotidiano torpore decisionale dell’uomo.

Il plot del dramma è semplice: in una buia e sconosciuta nazione un re ormai sul viale del tramonto deve decidere a quale dei suoi due figli affidare le redini del suo regno; potrebbe – in questo seguendo il consiglio della defunta e saggia moglie - favorire una fraterna diarchia, tuttavia opta per quella che ritiene essere l’unica soluzione al pericoloso busillis: una forza superiore e magica stabilirà chi dei due fratelli sarà più degno di regnare. Questa soprannaturale coscienza non è altri che il mitico Uccello Grifone. I personaggi sono astrazioni, esasperazione clownesca dei tipi della favola. Il re (Luca Gallone) e i suoi due figli, quello “buono” (Francesco Campanile) e quello “cattivo” (Luca di Tommaso), sono truccati, in maniera più o meno marcata, alla stregua di veri e propri pagliacci. Nulla vieta di leggere in quest’uso del trucco una volontaria mise en scène di quella orrorosa, rutilante, follia che, non troppo velatamente, caratterizza i buffoni del circo; l’inquietante sorriso dipinto sul volto dei tre protagonisti è forse, più di tutto, riuscita imago luciferina di tutti i signori della cosa pubblica presenti e futuri.

Almeno due sequenze di questo spettacolo sono degne d’esser menzionate per il loro intrinseco valore estetico e metaforico. Si tratta delle scene del fratricidio e della confessione/processo del fratello “cattivo”. Nella prima l’orrendo delitto si materializza sulla scena come scabrosa sequela mimata di torture e esecuzioni capitali: il fratello “buono” verrà di volta in volta impiccato, accoltellato, fucilato, impalato etc. La violenza della crudele pantomima, accompagnata dalle fosche sonorità di Nick Cave, commuove e scuote lo spettatore investendo i suoi sensi come una violenta onda d’urto, eco straziante di tutte le morti del mondo. Nella seconda, invece, il fratello cattivo si produce in una schizofrenica confessione sotto forma di paradossale e grottesco processo in cui egli incarna il giudice e l’accusato a un tempo. Il re usurpatore passa con nevrotico balzo dallo scranno regale al baldacchino del giudice avvolto in un nugolo di squillanti risate.

Visto il 22-11-2014
al Nuovo Teatro Sanità di Napoli (NA)