Un sermone da togliere il fiato.
Una sola persona in scena, una scena vuota e al contempo esplicativa di infiniti significati, dietro una scrivania posta quasi come un pulpito, Claudia Castellucci recita il suo sermone. L’omelia della domenica tratta del nulla, il rapporto tra l’essere vivente e il nulla. In questa dicotomia intercede il Dio, lo stesso Dio della continua ricerca di un qualcosa che vada oltre la vita e che ci dia una ragione in più per vivere, per lottare e per amare, quel Dio che dal nulla è celato. Lo spaesamento umano nel non voler accettare il nulla dopo la morte contrapposto alla preghiera, della fedele in scena, di essere lasciata sola nel nulla e la forte volontà di quest’ultima nel non voler una resurrezione, una reincarnazione, una nuova vita, la supplica di poter morire ed essere finalmente nulla. Un’invocazione rivolta a chissà chi, visto che la certezza di poter parlare con qualcuno non c’è, e che se veramente questo qualcuno si materializzasse si perderebbe completamente il fascino dell’invisibile e la forza del credo. Ma il Dio tanto invocato intona il suo canto e risponde al fedele richiamo del prossimo. L’attrice in scena ha grandiose capacità vocali e tiene alto il livello di attenzione suscitando risa e consensi tra il pubblico. Le espressioni del volto, i gesti delle mani e l’alternanza fra le sue parti parlate e quelle cantate, fanno si che le sue parole arrivino categoriche alle coscienze per risvegliarle e invitarle a riflettere sul senso ultimo del nostro credo. Una preghiera lunga uno spettacolo per chiedere di poter morire, di non rinascere e finire così di vivere, perché il pensiero che dopo la morte ci sia il nulla non tutti spaventa anzi crea in alcuni un senso di appropriata serenità.