UNA GIRANDOLA NAPOLETANA
Il ritorno di Don Calandrino di Cimarosa è opera dimenticata e riscoperta da Riccardo Muti nell’ambito di un progetto di valorizzazione del patrimonio musicale del Settecento napoletano, mirato a proporre al pubblico moderno partiture rare o opere mai rappresentate.
L’opera è una commedia fluida e leggera, pervasa di ironia e napoletana solarità, che riprende situazioni teatrali da commedia dell’arte. E’ un’opera buffa di intrattenimento settecentesco, giocosa e ricca di spunti parodistici, ma senza l’intensità emotiva, la ricchezza di caratteri, il lirismo e la delicata inquietudine dei capolavori del compositore partenopeo.
La vicenda ruota intorno alla riapparizione di Calandrino al villaggio natio, fanfarone giramondo creduto ricco e colto che scatena una serie di rivalità amorose in una frenetica girandola di situazioni.
I personaggi sono macchiette stereotipate prive di autentica introspezione e la trama, che si conclude in un doppio matrimonio frettoloso, è piuttosto convenzionale, ma la regia di Ruggero Cappuccio ha il merito di sfruttare al meglio tutti gli spunti della partitura con il risultato di uno spettacolo arguto e divertente.
La scenografia di Edoardo Sanchi, essenziale e sospesa nel tempo, è irreale e coloratissima, una scatola di giochi piena di macchine “inutili “: giganteschi trespoli movimentati da mimi con tanto di ruote, pedali e ombrelli che si illuminano. Mimi-acrobati sono parte integrante dello spettacolo, presenze burlone e irriverenti che s’intrecciano ai protagonisti con naturalezza, regalando ulteriore sorriso.
La regia infatti sottolinea il gioco, la festa, la sorpresa e la girandola drammaturgica si riflette nell’acrobazia scenica, in un elogio della molteplicità e della leggerezza con ironica napoletanità (come l’immenso corno rosso spezzato che scende dall’alto come un angioletto per sancire il felice epilogo).
Per moltiplicare gli effetti la scena ha due piani visivi: in primo piano la scatola-teatrino in cui i personaggi mettono in scena il loro canovaccio e un secondo piano arretrato dietro il sipario che sfuma nel buio le acrobazie dei mimi sulla pertica, sui trampoli, sull’altalena, giochi di un paese della cuccagna.
Anche i coloratissimi e fantasiosi costumi di Carlo Poggioli fanno spettacolo e generano situazioni divertenti, come quando la vanitosa Livietta “s’infila “ la tovaglia apparecchiata e dalla boria quasi lievita sul tavolo (una regina della notte luccicante di stoviglie). Sempre a colpi di vestiti si traducono le schermaglie femminili con gonne che si trasformano ironicamente in ventagli, pavoni, gabbie di uccellini.
Per un’opera fresca e leggera un cast di bravi e giovani interpreti, ottimi caratteristi e molto affiatati, anche se dalla vocalità ancora un po’ acerba e “scolastica”.
Francisco Gatell è il simpatico Don Calandrino, che alterna comicità caricaturale da buffo a pagine più liriche da opera seria con disinvoltura e voce adeguata. Laura Giordano è la bella e incostante Livietta, efficace primadonna buffa dalla leggera voce sopranile. Convincente anche Monica Tarone, la rivale Irene di voce più corposa. Esilarante Marco Vinco nella caricatura dell’affettato Monsieur Le Blonde, il francese pavido e vanaglorioso che per le movenze azzeccate conquista la simpatia del pubblico. Francesco Marsiglia è Valerio, un sindaco poco autorevole e goffo innamorato. Infine i bravissimi acrobati dell’Arcipelago Circo Teatro, veri co-protagonisti dello spettacolo .
Riccardo Muti dirige l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini con piglio vivace, scegliendo tempi veloci e teatrali senza tracce di patetismo e i concertati, in particolare quello che chiude il primo atto, sono i momenti musicali più riusciti. La giovane orchestra segue scrupolosamente le indicazioni del Maestro offrendo un suono compatto e preciso, frutto di un notevole impegno.
Gran successo di pubblico che ha applaudito con entusiasmo, oltre al ritorno di Calandrino, quello di Riccardo Muti.
Visto a Pisa, teatro Verdi, il 22/12/07