Una Traviata fredda solo all’apparenza: in realtà emozionante e commovente. Non solo nel cantato e nelle performance coinvolgenti dal punto di vista attoriale dei protagonisti, ma anche nelle metafisiche e apparentemente algide scenografie.
Molti occhi lucidi all’uscita. Il pubblico ha risposto alla grande: tutti esauriti i 2000 posti del Carlo Felice, anche se era la terza volta che questo allestimento con la regia di Giorgio Gallione andava in scena nella sala genovese. Prime due volte nel 2016 e 2018, ovviamente con cast diversi. Da allora il regista Gallione e lo scenografo Guido Fiorato hanno apportato qualche modifica alle scenografie, per renderle meno strong: ma l’impianto non è stato comunque stravolto.
Terza volta dell'allestimento: repetita iuvant
Per tutta l’opera non c’è traccia di sedie, poltrone o alcun elemento di comodità. Manca pure il tradizionale letto di morte di Violetta Valèry nel finale. L’elemento dominante dell’allestimento è un grande albero stilizzato, innaturalmente bianco, con le foglie sostituite da altrettanto innaturali e artificiali luci elettriche.
L’albero esplode letteralmente fuori da un terreno duro, quasi asfaltato. Se vogliamo ragionare per metafore, l’albero rappresenta la forza vitale del naturale sentimento, dell’amore. L’amore nato miracolosamente – senza nessun motivo e strategia - spezza la corazza del terreno: e cioè la vita precedente di Violetta, la mantenuta che vive un’esistenza di divertimento forzato e doverosa frivolezza. L’albero però non è verde e vitale: è un sepolcro imbiancato, ingabbiato nelle forme artificiali delle convenzioni e delle convenienze sociali, che lo snaturano fino a portarlo a morire.
Albero bianco, amore malato
Se non siete ancora convinti, guardate cosa succede alla fine del secondo atto. L’inganno e l’equivoco prendono il sopravvento sull’amore, e i personaggi non riescono più a vedere lucidamente la realtà, perché vedono solo il suo contrario.
L’albero bianco rimane al suo posto: ma dalla parte opposta della scena compare un albero identico, a testa in giù. Metafora più che trasparente. Anche perché è il momento in cui Alfredo getta ossessivamente in faccia a Violetta delle banconote, per umiliarla.
Domina l'idea della morte
L’idea della morte domina in tutta questa Traviata, probabilmente più delle intenzioni di Verdi. Ma sul finale, quando la morte da ipotetica e annunciata diventa reale, l’albero è abbattuto: tagliato di netto e appoggiato al suolo. Lì vicino resta il buco nel terreno sventrato, ormai privo di significato. Un enorme specchio inclinato sopra la scena, minaccioso come una ghigliottina, spezzetta la realtà, mostrandone il suo contrario: che poi, forse, è la verità.
Gallione enfatizza la morte, dicevamo, e ribadisce il connubio tra amore e morte. Te ne accorgi subito, nel preludio, quando va in scena il presagio del tragico finale, compare il dottor Grenvil (Dottor Morte, a tutti gli effetti) e una schiera di lugubri becchini nerovestiti (con gli ombrelli pendant) mette in scena una danza funebre.
Il brindisi lugubre
Lugubre pure la festa del primo atto, con il celebre brindisi Libiamo, Libiamo: che in altri allestimenti è una festa vera, con colori e lustrini. Qui invece sono tutti vestiti di nero, con la maschera. C’è da dire che il parere di Gallione è condiviso dal maestro Riccardo Muti, che ha definito Libiamo, Libiamo come “Un valzer di morte”.
Sono invece rosse e piene di lustrini le ballerine-zingarelle, con spacchi fino all’inguine: ma sono corpi supersexy senza volto, espressione di un erotismo meccanico, poco caldo, poco umano. In fin dei conti stiamo parlando di feste che assomigliano più a un lavoro e a un obbligo, che a un divertimento.
Tocchi di erotismo, Violetta unica protagonista
Ci sono altri tocchi di eros, qua e là: come quando una delle ballerine di DEOS (Danse ensemble opera studio) viene portata a spalle nuda, con solo i copricapezzoli e i microslip. O la scena in cui Violetta, sdraiata a terra, bionda, con le lunghe gambe scoperte, appare a tutti gli effetti come una citazione di Marylin: altrettanto bella, sensuale, e sfortunata.
Violetta è sempre l’unica vestita di bianco, circondate da presenze vestite di nero quando non espressamente degli scheletri. Le luci colorano di rosso i suoi vestiti, a sottolineare la presenza ossessiva della malattia. In questa Traviata, Violetta è l’unica protagonista: tutti gli altri, compreso Alfredo, sono solo dei comprimari, a prescindere dalla loro bravura nel canto e dalla durate della parte.
Palumbo tiene in pugno l'orchestra, Violetta Marylin
Perfetta la direzione di Renato Palumbo, attento a dirigere non solo l’orchestra ma anche quello che accade in palcoscenico. E asseconda pure Gallione nella sua visione onirico-funeraria, trasformando il deciso lirismo di certe scene in un compendio di pessimismo. Più che adeguato il cast. Caterina Lopez Moreno, soprano boliviano al suo debutto assoluto a Genova, ha stupido tutti per il suo dominio della parte di Violetta Vàlery, soprattutto negli acuti più impervi e nei pianissimi. Notevole anche la presenza fisica, decisamente e malinconicamente sexy in molte scene: anche grazie all’inedita tinteggiatura dei capelli biondo-Marylin per la bella sudamericana.
Francesco Meli, padrone di casa che non delude
Il padrone di casa Francesco Meli, tenore genovese reduce da un’influenza, era un po’ sottotono. Ma dato che il ruolo di Alfredo Germont è uno dei più confacenti alle sue capacità e caratteristiche vocali, è stato comunque superiore alla media: e si è visto già nell’aria “E libiamo ne’ lieti calici”, che ha delineato bene il carattere potremmo di Alfredo.
Applausi anche per Roberto Frontali nel ruolo di Giorgio Germont: sapiente nel rendere il mix di odiosità, egoismo e pragmatismo del personaggio. Tutti all’altezza del ruolo e della situazione gli altri: Carlotta Vichi (Flora Bervoix), Chiara Polese (Annina), Roberto Covatta (Gastone), Claudio Ottino (Barone Douphol), Andrea Porta (Marchese d’Obigny), Francesco Milanese (Dottor Grenvil), Loris Purpura (Domestico di Flora), Giuliano Petouchoff (Giuseppe), Filippo Balestra (commissario).