Prosa
IL SERVITORE DI DUE PADRONI

Un interessante 'Servitore di due padroni'

Un interessante 'Servitore di due padroni'

Dovrebbe essere regola valida sempre andando a teatro o al cinema - specialmente se si sa che il regista è ‘fuori dal coro’ - la piccola frase che conclude il delizioso (e profondo) apologo in premessa al libretto de'Il servitore di due padroni': “Tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti… se prima non vuoti la tua tazza?”
Ovviamente la tazza è la mente.

Il lavoro che Ken Ponzio ha riscritto dal testo goldoniano per la regia di Antonio Latella è fedele allo spirito di Goldoni anche se lo ‘tradisce’ profondamente nel testo e nella forma, facendone uno spettacolo radicalmente diverso, tale da sconcertare e disturbare chi del grande commediografo ha una visione pietrificata, quasi come la statua che Venezia gli ha dedicato in Campo San Bartolomeo nei pressi di Rialto.

Per assaporare l’opera di Latella occorre dimenticare non solo le ‘tragiche’ rappresentazioni (peraltro fedelissime in costumi e linguaggio) che un noto attore ormai defunto propinava a noi studenti facendoci odiare ed evitare Goldoni, ma anche le - peraltro splendide - letture che ne hanno fatto Squarzina e Strehler e in particolare quell’Arlecchino servitore di due padroni realizzato dal grande regista nel 1947 e che da oltre sessant’anni delizia generazioni di spettatori grazie anche alle interpretazioni prima di Moretti e poi di Soleri.

Il servitore di due padroni era stato scritto in piena transizione dalla ‘Commedia dell’Arte’ (in cui sulla base di un ‘canovaccio’ gli attori improvvisavano) alla commedia moderna in cui gli attori recitano seguendo un copione scritto.
La prima stesura del 1745, infatti, era la rielaborazione di un canovaccio già conosciuto e rappresentato realizzata da Goldoni per l’attore Antonio Sacchi (che improvvisava con il nome di Truffaldino) nel rispetto della tradizione. Nelle successive stesure il Nostro giunse gradualmente alla completa applicazione della sua riforma.
Ponzio e Latella si sono ispirati al commediografo veneto (in locandina è scritto da e non di Goldoni) nel rompere la tradizione teatrale e nel sottolineare la modernità delle sue idee sulla condizione della donna per molti (ma non per tutti se si parla ancora di pari opportunità e se in diversi Paesi la situazione non è mutata di molto) oggi normali, ma che all’epoca dovevano essere dirompenti (si pensi alla ribellione di Clarice contro la volontà del padre che voleva sposarla contro i suoi sentimenti).

Latella prosegue con questo lavoro la ricerca sul teatro come spazio di verità possibili e come luogo della menzogna (è il terzo capitolo di una tetralogia iniziata con A. H. e Die Wohlgesinnten e che si concluderà con Peer Gynt) simboleggiato dalle maschere, da qui il loro non utilizzo.
É evidente il desiderio di smontare il teatro tradizionale privandolo degli orpelli e delle convenzioni affinché torni a essere, attraverso la parola, pura espressione di sentimenti.

La messa in scena è ricca d’intuizioni e scelte felici come la splendida apertura su una hall d’albergo con il televisore sempre acceso e Smeraldina (un’ottima Peraza Rios struggente nel monologo) che passa l’aspirapolvere o la valorizzazione di Brighella il quale da spettatore conscio, ma passivo della tradizione diviene mefistofelico regista di tutti gli eventi scandendone i tempi e descrivendoli in una specie di cronaca. Bello anche il gioco delle diversità linguistiche dal veneziano di Pantalone, ai francesismi di Beatrice, ai diversi dialetti: ognuno ha il suo linguaggio.
A volte, però, il lavoro sembra aver bisogno di un’ulteriore messa a punto risultando faticoso da seguire quando il racconto si disperde senza giungere a conclusioni.
Inoltre, nella seconda parte, il metodico smontaggio della scenografia coglie lo spettatore impreparato e nel finale appare eccessiva la prolungata reiterazione dello strehleriano ‘lazzo della mosca’ e di difficile comprensione il ritorno (che pur rientra in una logica stringente) ai versi goldoniani.

Ottimo tutto il cast - impegnato in un’impostazione non facile e sempre misurato nelle sfumature grottesche - su cui eccelle lo splendido Brighella di Massimiliano Speziani.
Uno spettacolo da vedere: fa riflettere e discutere.

Visto il 18-03-2014