Il 14 maggio 1753 venne inaugurato a Bologna, anche a seguito dell’incendio che aveva distrutto il vecchio Teatro Malvezzi, il nuovo Teatro Comunale, realizzato con fondi pubblici su progetto di Antonio Galli da Bibiena nelle splendide forme in cui possiamo ammirarlo ancora oggi; per l’occasione venne rappresentato proprio Il trionfo di Clelia, opera scritta appositamente l’anno precedente da Christoph Willibald Gluck su libretto di Metastasio, alla cui mise en scène prese parte attiva anche il Bibiena che ne curò la spettacolare scenografia. Nonostante l’innegabile bellezza, l’opera cadde ben presto nel dimenticatoio tanto che se ne persero le tracce. L’allestimento bolognese, voluto per celebrare i 250 anni del teatro, è il primo che ne ripropone l’esecuzione integrale, nonostante drastici tagli operati sui recitativi, basandosi sulla versione riportata da un manoscritto bolognese rinvenuto nel 2007 (edizione Et in Arcadia ego).
Lo spettacolo di Nigel Owery si accosta alla vicenda dell’eroina romana ambientandola in un mondo senza spazio e senza tempo in cui l’anelito di libertà diviene il sentimento predominante, sviscerato e universalizzato con tono ironico e leggero. L’idea di osservare la tematica dell’eroismo femminile da un punto di vista diacronico sarebbe anche interessante, ma si traduce in questo caso in un’eccessiva cerebralità del simbolo, tanto che in scena i protagonisti compiono di frequente gesti che paiono incomprensibili ai più, non funzionali all’azione e soprattutto completamente slegati dalle esigenze del libretto. Le scenografie sono semplici e fisse: un telo bianco a guisa di sipario, che i cantanti seguitano a tirare apparentemente senza motivo, nasconde dietro sé un semplice interno, con tavolino e libreria stile Ikea, il quale si apre su un panorama industriale stilizzato. Moderato l’utilizzo delle videoproiezioni che, a tratti, riportano l’attenzione su frasi di contenuto rivoluzionario o, artificio questa volta davvero azzeccato, vengono utilizzate per riprodurre, su una serie di scatole di cartone impilate le une sulle altre, immagini simili come effetto a quello ottenuto con le ombre cinesi, così da riportare alla mente la battaglia avvenuta sul ponte appena fuori Roma che vede come protagonista Orazio. Di foggia bizzarra e dominati da un nero intenso mescolato a colori chiassosi i costumi di Monica Benini.
Variegato e di qualità non omogenea il cast. Su tutti spicca la tenace ed algida Clelia di Maria Grazia Schiavo; la voce è corposa e potente in acuto, l’emissione sempre perfettamente calibrata, agile il fraseggio, solida l’intonazione. Complessivamente abbastanza buone anche le prestazioni offerte da Mary-Ellen Nesi nei panni di Orazio e di Burçu Uyar in quelli di Larissa: in entrambi i casi non ci si trova di fronte a voci di grande corpo, ma la linea di canto è senza dubbio gradevole, nonostante l’esecuzione delle fioriture appaia perfettibile. In palese difficoltà Vassilis Kavayas nel ruolo di Porsenna, il timbro possiede a tratti un retrogusto metallico, l’intonazione è precaria soprattutto in zona acuta, le agilità sono stentate. Poco sonoro anche il Tarquinio di Irini Karaianni che appare privo di mordente e piuttosto opaco. Tutto sommato adeguata la prestazione di Daichi Fujiki che ha vestito i panni di Mannio.
A dirigere l’orchestra del Teatro Comunale Giuseppe Sigismondi De Risio che è parso attento a sottolineare, senza esasperazioni, la leggerezza e i colori di una partitura musicale ricca di spunti davvero di alto livello. Qualche leggero problema di accordo fra buca e palcoscenico durante i virtuosismi più esasperati di alcune arie.
Lirica
IL TRIONFO DI CLELIA
250 e non sentirli
Visto il
al
Comunale - Sala Bibiena
di Bologna
(BO)