Lirica
IL TROVATORE

Bergamo. Trovatore tra upper e lower class.

Bergamo. Trovatore tra upper e lower class.

"Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare" affermava John Belushi nel film di John Landis "Animal House". Senza voler azzardare paragoni irrispettosi, il momento di crisi che sta attanagliando l'intero ambiente dello spettacolo ha tracciato una linea di demarcazione tra quanti hanno abbassato il livello qualitativo e quanti sono riusciti a mantenerlo confacente al proprio decoro. E' il caso dell'intelligente direzione artistica di Francesco Bellotto al "Donizetti" di Bergamo, Teatro che pur costretto come tutti a "fare i conti della serva", non ha tradito il tradizionale prestigio. Il trovatore, omaggiante il bicentenario di Giuseppe Verdi, co-produzione tra Bergamo Musica Festival e Ar Concert Season Basel, che dopo le due date lombarde verrà rappresentato alla celebre Musiksaal di Basilea in Svizzera, è stato annunciato in forma semi-scenica. Non sono indispensabili grandi mezzi, quando si posseggono le necessarie doti e competenze. Luigi Barilone, pur con poco e in poco tempo, è riuscito a confezionare una regia rivestente dignità artistica; un allestimento che anziché semiscenico potrebbe definirsi minimalista. La recitazione, è vero, era abbozzata ed i cantanti si sono spesso spinti troppo in proscenio, ma bellissime e curatissime erano le posizioni del Coro. Al di là di qualche quadro ad effetto, come il notturno illuminato dagli "occhi" delle torce elettriche (oltre che dai sapienti "tagli" di Renato Lecchi) oppure il conclusivo dove i seguaci del Conte armati di pistole hanno freddato su due piedi Manrico, il susseguirsi sul fondale di immagini in bianco e nero ha esaustivamente suggerito una linea interpretativa di dignitosa eleganza. Due mondi contrapposti e paralleli: il Palazzo dell'Aliaferia, il "diroccato abituro sulle falde di un monte in Biscaglia", l'accampamento dei soldati, il bivacco degli zingari, la prigione dei condannati. Per Barilone scene di vita cittadina, spaccati di una metropoli frazionata in upper side e suburbio: la piazza antistante un grattacielo e le tende degli homeless baraccati sotto un ponte autostradale, un parcheggio interrato e lo scheletro metallico di un luna park abbandonato, una moderna Cappella trafitta da un raggio a forma di Croce e un palazzo inghiottito da cupe nuvole. Tra questi, si è mossa un'umanità che Angelo Sala ha nettamente suddiviso tra men in black (i seguaci del Conte) e multicolori canotte, coppole o gonne svolazzanti (dei gitani).
Per lo più giovane e ai primi approdi importanti, la Compagnia di canto. Angelo Villari presenta mezzi vocali considerevoli che non abbisognerebbero di "spinte", stante anche l'omogeneità di tenuta. Solido negli acuti e dal lungo fiato, nonostante una perdonabile incrinatura di emozione abbia troncato la "corona" del Do della "Pira", comunque eseguita egregiamente. Manrico più combattivo che languido, ha declinato il sentimento nei confronti di Leonora con irruenza, trovando accenti morbidi nei confronti della madre, nell'ultimo atto. Incertezze di intonazione nella buona vocalità di Roberta Pozzer, che si assottiglia nelle mezze voci dei registri medio bassi e acquisisce corposità negli acuti. Maggiormente eloquente nel canto che non nella gestualità, ha delineato una Leonora di concreta espansività. Cristina Melis denota potenza che assume belle rotondità nei toni alti. Ha colpito per il carattere, esternato in fierezza dell'emissione e intensità della linea di canto che le hanno permesso di interpretare con grande carisma Azucena. Arturo Pastor apprezzabile più che in tenuta, per gli appoggi della voce, per un certo stile nei legati e per l'indole verdiana. Un Conte di Luna sprizzante intrigante fascino noir. Ottima la dizione di Choi Seung Pil, attento alla ricerca di un bel fraseggio che affinerà sempre più con l'esperienza; di affascinante presenza scenica con la quale ha ben risolto il ruolo di Ferrando. Focosa Ines, Sonia Lubrini. Corretti Marco Tomasoni, Ruiz, Francesco Laino, Vecchio zingaro e Emilio Aldi, Messo. Travolgente per profondità espressiva il Coro diretto da Fabio Tartari. Sul podio dell'Orchestra "di casa", a sostituire l'indisposto Andreas Ryter, Sebastiano Rolli dal gesto ampio sempre proteso al palco (anche in generose vesti di suggeritore). Tempi sostenuti e vividi bilanciamenti sonori in una lettura scattante volta ad evidenziare le impetuose passionalità verdiane con raffinatezza, evitando l' "effetto banda", così come a tingersi, con sensibilità, di chiaroscuri lirici.
Pubblico espansivo, che a malincuore ha trattenuto gli applausi a scena aperta.

Visto il 01-09-2013
al Donizetti di Bergamo (BG)