Il Trovatore è l'opera che ha inaugurato il festival Verdi 2010 e l'Istituto Nazionale di Studi Verdiani ha pubblicato, insieme alla Fondazione Teatro Regio di Parma, un Quaderno (il quarto della serie) dedicato al Trovatore. I saggi danno conto della ricchezza dell'opera e propongono un viaggio fra letteratura, teatro e cinema. Il modello letterario del libretto viene puntualmente collocato storicamente, come anche i rapporti tra Verdi ed i contemporanei. Ci sono parse interessanti, in particolare, la relazione tra la partitura e il linguaggio cinematografico di Luchino Visconti e l'analisi della messa in scena di Elijah Moshinsky, distante dalla tradizione. Concludono il volume alcuni disegni di Camille Corot che fissano sulla carta le impressioni che il pittore ricavò dall'assistere al Trovatore, inediti e ritrovati da Alessandro Taverna.
La scena di William Orlandi è vuota, una superficie desertica grigiastra con qualche roccia in proscenio: “Deserto sulla terra” canta Manrico nel prim'atto. Un cavallo bianco (statua o piuttosto un grande giocattolo) accompagna l'ingresso di Leonora, mentre l'atto di Azucena ha un tocco rosso e un cospicuo bottino di furti zingareschi. Il prosieguo è dominato dal Castel del Monte, piccolo in lontananza o grande al centro, riprodotto sempre nei minimi dettagli, persino la trifora che guarda verso Andria. Una foresta di spade campeggia a un certo punto, sostituita poi da candelotti intorno a un letto-tomba per il duetto Leonora-Manrico. Spesso sul fondo una luna enorme e incombente, bianca oppure rossa, a destra o a sinistra, piena o rivelata da un'eclissi velocissima.
Le luci di Christian Pinaud valorizzano gli spazi vuoti principalmente con fari messi di taglio.
Il sipario riproduce ancora il castello federiciano e un condottiero a cavallo, rimandando a uno stile eclettico vicino a Francesco Paolo Michetti.
I costumi, sempre di William Orlandi, sono di un'epoca storica poco precisa, più vicina al Rinascimento che all'Ottocento. Ci ha dato da pensare la scelta di vestire Manrico e il Conte con lo stesso qbito, rosso con cintura dorata il primo, blu con cintura argentata il secondo: le due figure sarebbero speculari-complementari? O piuttosto alternative ma come due facce della medesima medaglia?
Lorenzo Mariani centra tutto su scene notturne e simboliche e non interviene in modo visibile nella storia. Poco incisivi anche i movimenti delle masse corali, soprattutto nel secondo atto, dondolanti.
Yuri Temirkanov ha proposto una lettura non scontata e mai banale della partitura, di cui ha sottolineato la forza risorgimentale ma anche la romanticità.
Claudio Sgura è un Conte di Luna dalla voce importante e dai tratti quasi scarpiani nel ghermire Leonora, una Serena Farnocchia dai centri importanti e dagli acuti impetuosi. Mzia Nioradze (Azucena) ha voce di impasto particolare e grande temperamento, a suo agio vicino al Manrico di Francesco Hong, che ha voce potente e facile all'acuto, privilegiando la muscolarità del canto. Bene il Ferrando di Deyan Vatchkov e la Ines di Cristina Giannelli dall'insolita cuffia come la leonardesca dama dell'ermellino (peraltro vissuta non lontano da qui, a San Giovanni in Croce). Con loro Roberto Jachini Virgili (Ruiz), Enrico Rinaldo (un vecchio zingaro) e Seung Hwa Paek (un messo).
Ottima la prestazione del coro, preparato da Martino Faggiani.
Teatro esaurito, pubblico internazionale, molti applausi, scroscianti dopo il terzo atto e nel finale. La recita è stata preceduta da un breve video intitolato “Parma. Un modo di vivere”.