Molti sono i temi che attraversano Il trovatore di Verdi, opera romantica per eccellenza or ora riproposta al pubblico del Teatro Verdi di Padova. C'è la passione amorosa: etereo slancio adolescenziale in Leonora, virile attrazione in Manrico, gelosa smania di possesso nel Conte. Ma oltre al luccichio delle armi ed allo scorrere di sangue, si avverte l'onnipresenza di quel fuoco che attraversa tutta l'opera. Fiamme che riscaldano gli armigeri del Conte, falò che illuminano l'accampamento degli zingari, tremule faci che accompagnano Leonora al chiostro. E poi i funesti roghi evocati dai personaggi: quello che arse la madre d'Azucena ed il piccolo Garzia; e quindi l'infame pira approntata per Azucena stessa, i cui riflessi spingono Manrico all'impossibile soccorso.
Una messinscena potente e piena di passione
In realtà, nella messinscena tutta pensata da Filippo Tonon, e creata a marzo scorso a Maribor, lampi di fuoco se ne incontrano pochi, salvo che in certe sciabolate di sinistra luce rossastra. Il suo intervento non cerca un impossibile realismo, in un testo in cui spazio e tempo sono incoerenti; né tenta la vana impresa di attualizzare la vicenda, disegnando piuttosto scenografie astratte e scabre, che trovano rispondenza nei costumi senza tempo di Cristina Aceti. E la sua eloquente visione teatrale immerge lo spettatore in atmosfere corrusche e tesissime, sature di forte magnetismo, dove la contrapposizione dei caratteri - e le loro brucianti pulsioni - emergono prepotenti.
Interpreti si, interpreti no
La componente musicale di questo Trovatore padovano presenta invece poche luci e molte ombre. Alberto Veronesi nel tentare l'ardua impresa di tenere unito un cast alquanto slegato, stando sul podio dell'Orchestra di Padova e del Veneto offre una direzione evanescente e di poco carattere, ondivaga nei tempi ed incongruente nelle dinamiche interne della partitura. Voci di alterno valore: virulenta eccitazione, poca grazia e spianatura sistematica della scrittura nel vociferante Manrico di Walter Fraccaro, tagliato un po' con l'accetta; e Maria Katzarava pare indecisa se cantare da soprano, o da mezzosoprano, con suoni stretti e forzati, ed un'oscillante scelta a di timbri.
Interpreti si, interpreti no
La componente musicale di questo Trovatore padovano presenta invece poche luci e molte ombre. Alberto Veronesi nel tentare l'ardua impresa di tenere unito un cast alquanto slegato, stando sul podio dell'Orchestra di Padova e del Veneto offre una direzione evanescente e di poco carattere, ondivaga nei tempi ed incongruente nelle dinamiche interne della partitura. Voci di alterno valore: virulenta eccitazione, poca grazia e spianatura sistematica della scrittura nel vociferante Manrico di Walter Fraccaro, tagliato un po' con l'accetta; e Maria Katzarava pare indecisa se cantare da soprano, o da mezzosoprano, con suoni stretti e forzati, ed un'oscillante scelta a di timbri.Una Leonora matronale, sfogata, talora eccessiva, la sua, tanto che in certi momenti pare quasi una caricatura di Michael Aspinall. Non del tutto irreprensibile l'Azucena di Judit Kutasi, vuoi per un registro inferiore poco consistente, vuoi per una certa platealità del personaggio. Il baritono mongolo Enkhbat Amartuvshin è una interessante scoperta. Non saprà l'italiano (così mi dicono) ma nondimeno alle prese con la figura del Conte mette in campo una buona dizione, una colonna di fiato possente ed omogenea nella gamma, e persino buona penetrazione psicologica. Simon Lim è un solido Ferrando, Carlotta Bellotto una discreta Ines. Il Coro Lirico Veneto ha assolto bene il suo compito.