Della fondamentale traduzione di Pasolini del celebre Miles gloriosus di Plauto ci sarebbe da dire ben più di quanto possiamo fare qui. Nel cercare di rendere lo scarto linguistico col quale i contemporanei di Plauto potevano recepire le distanze e le assonanze tra il greco cui il testo si rifà e il latino in cui è scritto Pasolini ha trovato come tramite il dialetto romanesco, felicemente reinventato e personalissimo. Una scelta che non piacque a tutti e che fece dire a molti che Pasolini non si era limitato a tradurre ma aveva reinventato il testo. Invece di tutte le traduzioni celebri del Miles Gloriosus che, nel cercare di rendere giustizia filologica ottenevano solo di cristallizzare il testo in una forma letterale, così distante dalla verve drammaturgica dell'originale, Pasolini ce ne propone una versione più vicina all'originale sia per affinità linguistica (la magistrale padronanza delle possibilità musicali della parola) e letteraria (il settenario in rima col quale Pasolini restituisce il verseggiare di Plauto, che si muove tra mille registri e stili).
Nella stessa direzione si muove Roberto Valerio regista e magnifico interprete di Palestrione (che si inserisce nella lunga tradizione che va da Petrolini e arriva fino a Proietti, riuscendo a imporsi autonomamente grazie alla sicura personalità) il servo furbo che raggira e inganna il tronfio Pirgopolinice, il Vantone che dà il titolo ala commedia.
Valerio allestisce una messa in scena esemplare (scena semplice, con fondale neutro sobriamente colorato da una luce predominante) nella quale effettua qualche taglio (soprattutto nella parte finale) inserendo alcune canzoni romanesche apparentemente popolari (da Tanto pe' cantà di Petrolini-Simeone a Cosa sono le nuvole di Modugno-Pasolini) contaminando la commedia con qualche accenno di avanspettacolo, come la trasformazione di Acroteleuzio (la donna ingaggiata da Palestrione per ingannare il Vantone) in un travestito (interpretato dal grandissimo Massimo Grigò che a stento si crede sia lo stesso attore che fa anche Sceledro). Ma attenzione! Questo capovolgimento non è volgare (nel senso letterale del termine) parodia, ma colta citazione (Acroteleuzio va in playback su Wanda Osiris), non farsa grossolana ma ammiccamento alla modernità senza scordare i temi della commedia plautina, insomma non si ride di un uomo vestito da donna si usa un travestito in un contesto credibile.
Merito della regia attenta di Valerio e degli attori che sono in grado di forzare il testo (Milfidippa, la finta serva di Acroteleuzio che parla burino alcune gag aggiunte dal regista) senza snaturarlo grazie alla precisione con cui accennano una parlata, mimano una gag, si concedono un sottotesto.
Una messa in scena attenta anche ai dettagli: la fame atavica dei servi della commedia Plautina (e non solo) rimarcata in una aggiunta al testo (quando Sceledro mangia avido le bucce di una mela che Palestrione ha gettato in terra).
Valerio sa essere equilibrato nel doppio ruoli di attore e regista, quando, pur interpretando il ruolo centrale sa lasciare spazio a tutti gli altri un gruppo coeso, coerente di attori tutti molto bravi (a un livello leggermente inferiore forse solo Roberta Mattei, un po' troppo moderna soprattutto nei panni di Milfidippa) che non nascondono la scarsa qualità del proprio agire dietro la grossolanità della farsa ma che, al contrario, sanno impreziosire con la loro estrema precisione recitativa un testo divertito e divertente. Uno spettacolo che nonostante l'intreccio semplice non è affatto superficiale ma costituisce una dichiarazione d'amore per il teatro romano uno dei teatri meno capiti e più maldestramente manipolati.
Non questa volta, per fortuna.
Il pubblico apprezza e accorre numeroso.
Uno spettacolo da non perdere.
Visto il
30-09-2009
al
India
di Roma
(RM)