Prosa
IL VIZIO DELL'ARTE

Un magnifico 'vizio'

Un magnifico 'vizio'

Dopo aver aspettato una intera estate la ventesima edizione di Garofano Verde - scenari di teatro omosessuale ha finalmente debuttato al teatro Belli con la lettura (parziale), intelligente e splendidamente eseguita da Bruni e De Capitani, di The Habit of Art del settantanovenne Alan Bennett, malamente tradotto in italiano con Il vizio dell'arte laddove habit in inglese significa abitudine, con un implicito riferimento a un atteggiamento inconsapevole e spontaneo che poco ha a che fare col cattolico e giudicativo vizio il cui polo semantico è molto più forte del significato di pallino, fissa, come nel modo di dire ha il vizio di dire la verità.
Ci auguriamo di cuore che, quando porteranno in scena l'intero testo (come hanno dichiarato nelle note di regia e anche a teatro) Bruni e De Capitani ne cambino il titolo italiano, con uno più consono e meno moraleggiante.

The Habit of Art è una "commedia nella commedia" nella quale un gruppo di attori prova la commedia Caliban's Day incentrata sull'incontro tra il poeta Wystan Hugh Auden  e il compositore Edward Benjamin Britten, entrambi omosessuali non dichiarati, avvenuto a Oxford, nel 1973 (l'anno della morte del poeta e tre anni prima di quella del compositore) 25 anni dopo l'ultimo loro incontro.
Britten sta scrivendo un'Opera tratta dal romanzo Morte a Venezia di Thomas Mann -  nel quale si racconta del desiderio erotico del romanziere sessantenne Gustav von Aschenbach per l'adolescente quattordicenne Tadzio - per la quale sta facendo il casting ed è venuto a trovare Auden per farsi aiutare a sciogliere le riserve che ha sull'opportunità di mettere in musica il desiderio sessuale di un uomo maturo per un minore,  mentre Auden, oramai poco attivo letterariamente,  spera gli chieda di scriverne il libretto.

Nel lavoro originale le prove di Caliban's Day sono continuamente alternate dai commenti e dalle domande dei quattro attori all'autore del testo, sui personaggi e i loro dialoghi, in un continuo scambio tra il vissuto degli interpreti e quello dei personaggi che vanno a interpretare.

Un meccanismo drammaturgico complesso che Bruni e De Capitani hanno semplificato eliminando una prima parte del testo - nella quale Auden viene intervistato  dal suo futuro biografo Humphrey Carpenter che Auden scambia per un giovane escort che sta aspettando - ed espungendolo di tutti i commenti degli attori (facendo leggere alcune delle didascalie del testo all'interprete del rent boy),  come spiegano alla platea prima di cominciare la lettura, con qualche inesattezza storica: fanno risalire l'ultima collaborazione artistica tra Auden e Britten al documentario Night Mail (GB, 1936) di Harry Watt e  Basil Wright - nel quale in verità hanno avuto entrambi una collaborazione marginale (alla fine del documentario viene letta una poesia di Auden su musiche di Britten) - mentre nel 1941 hanno scritto insieme l'operetta Paul Bunyan che non ebbe alcun successo...

L'incontro tra Auden e Britten non è accaduto in realtà, eppure da questa invenzione Bennet fa trasparire il vissuto e l'intima natura dei due uomini d'arte, la perdita di memoria di Auden, che ripete ormai le stesse cose (come il fatto di essere stato il genero di Mann, tormentone che percorre tutto il testo), lui che aveva fama di fine e instancabile conversatore, la pavidità di Britten, la cui carriera è ormai in fase calante, accomunati dallo stesso desiderio omoerotico per i giovani ragazzi che Bennett non riporta come pettegolezzo (come Auden indica accada spesso nelle biografie) ma per restituire una parte  fondamentale e imprescindibile  della vita di ognuno di noi come quella sentimental-sessuale, soprattutto quando questa è malvista dalla società, tanto da costringere  a nasconderla (ricordiamo al lettore e alla lettrice che non lo sapessero che in Gran Bretagna fino al 1967 l'omosessualità era un reato penale punito con il carcere, come accadde ancora a Alan Turing nel 1952).

The Habit of Art è dunque una "commedia nella commedia"  nella quale non solo si riflette sul teatro e sul modo di restituire le vite dei grandi personaggi (e Auden, nella parte espunta dalla lettura,  si lamenta che le vite altrettanto interessanti come quella del ragazzo escort non vengano mai prese in considerazione...) ma anche nella quale queste riflessioni trovano nella stessa messinscena un ulteriore strumento di verifica e messa in opera. 

La lettura di De Capitani e Bruni, che interpretano rispettivamente Britten e Auden, comincia con un salace dialogo tra Auden e il ragazzo escort (il bilingue Alejandro Bruni Ocaña che recita l'escort con un leggero accento spagnolo e le didascalie in italiano) dove si fa riferimento esplicito alla prestazione sessuale che Auden vuole dal ragazzo (una fellatio da fare e non da ricevere) ed ecco anche perchè crediamo che sul  vizio, il sostantivo maltradotto del titolo originale, prevalga un'ombra giudicante

Il dialogo di Bennet è di una ironia sottile che attesta la disinvoltura con cui Auden viva il proprio omoerotismo nella vita privata anche se non ha mai fatto coming out (ma a leggere i pronomi delle mie poesie, dice, si capisce il mio orientamento sessuale. Le mie poesie sono un coming out retroattivo) e, anche, la disinvoltura con cui  nel 2009 (anno in cui la commedia è stata scritta) si può parlare di desiderio maschile per i ragazzi con la stessa legittimità e tranquillità con cui si parla del desiderio maschile per le donne.

Desiderio che costituisce uno dei temi centrali della commedia. Un desiderio vissuto con un diverso temperamento che si riversa anche nella produzione letteraria e musicale dei due artisti, proprio come il libretto di un'opera che, dice Auden, nessuno ascolta durante l'esecuzione la cui importanza risiede nell'influenza che esercita sul compositore prima della scrittura della partitura musicale.

Auden vive il suo desiderio per i giovani ragazzi (e il loro sesso) in maniera diretta e schietta e critica gli artifici narrativi con cui Britten, assieme alla librettista Myfanwy Piper, cerca di nascondere nell'Opera che sta traendo dalla Morte a Venezia di Mann il desiderio sessuale di von Aschenbach per Tadzio dietro schermi narrativi (un sogno nel quale Tadzio gli appare come Apollo) assalito da mille dubbi di opportunità e lo invita a essere diretto e immediato nella sua opera così come lo è stato con i suoi allievi di musica con alcuni dei quali ha intessuto delle relazioni amorose.

Il Britten davvero esistito non risolve questi dubbi e nell'opera fa interpretare Tadzio a un ballerino senza farlo mai cantare o parlare. Nella commedia Bennett gli fa spiegare come il rapporto con i suoi allievi fosse erotizzato anche quando non c'era con loro un vero scambio fisico. La musica diventava un modo speciale per stare insieme e scambiarsi emozioni (uno dei momenti più intimi e profondi del testo).

Ecco così che l'abitudine dell'arte del titolo si esplica come una consuetudine inesorabile con la quale Britten e Auden vivono le loro vite dove anche il sesso fa parte di un sentire che si intreccia e si innerva con l'arte e nell'arte; non nel senso romantico e puritano della sublimazione dell'eros (come nel romanzo di Mann) ma, al contrario, nell'erotizzazione dell'esperienza artistica. All'eros è riconosciuto un posto prosaico (come quando Auden fa presente a Britten che l'escort con il quale il musicista entra subito in sintonia non può dargli altro che del sesso ed escort e Britten gli rispondono di esserne pienamente consapevoli), ma, lo stesso, di grande importanza.

Riflessione sul desiderio e sull'invecchiare, sul rapporto amoroso e sulla seduzione nonché sull'impegno politico di dire la verità artistica se non si è capaci, per contingenza storica, di dire quella personale sdoganando o meno l'avversione per l'orientamento sessuale gay che dopo il 1967 non è più punito col carcere, dove la pressione sociale ha un effetto diverso sul temperamento più liberato di Auden rispetto quello più bisognoso di una maschera sociale di Britten,  The Habit of Art è un testo di una sorprendente leggerezza e libertà di spirito un inno alla giovinezza che non è quella anagrafica ma quella dell'onestà intellettuale, della spontaneità e sincerità con cui si vive tutta la vita che ci è dato di vivere e dove anche il tema dell'innocenza trova un punto di vista altro.
La relazione amorosa tra un uomo maturo e adolescente è vista da Auden come una consuetudine storica una volta accettabile che, con l'avvicinarsi alla contemporaneità, viene sempre di più censurata (per esempio aumentando l'età dell'adolescente, gli 11 anni dell'adolescente di cui Mann si invaghì davvero diventano 14 nel suo romanzo e 17 nell'opera di Britten) adducendo  una presunta innocenza infantile da preservare nell'adolescente sedotto dall'uomo maturo.

Britten però fa notare che il centro narrativo del romanzo di Mann che tanto lo turba vede l'uomo maturo nella parte del sedotto e l'adolescente in quella del seduttore ed è questo il vero nucleo per il quale ha timore di esporsi troppo.

Un ribaltamento della morale cristiana  che diventa squisita metafora della politicizzazione del corpo dell'adolescente che dopo il 1968  acquista consapevolezza anche del desiderio omoerotico
che le generazioni precedenti tenevano giocoforza nascosto.

Questi sono solo alcuni dei temi che Bennett tocca nella sua splendida commedia che Bruni, De Capitani  e Bruni Ocaña portano in scena con estrema efficacia (solo Bruni a tratti calca la mano nella sua interpretazione di Auden impostandola troppo secondo i canoni di certo doppiaggio cinematografico, come quando si mette a russare, mentre la didascalia lo vuole addormentato) cui una sala gremitissima ha tributato applausi meritatissimi.

Non resta che aspettare la messinscena integrale della commedia, fra due anni... Tanto, si sa, tempus fugit!

Visto il 24-09-2013
al Belli di Roma (RM)