Dopo il successo di History Boys, il Teatro dell’Elfo apre la sua stagione con un altro lavoro di Alan Bennet, Il vizio dell’arte, testo splendidamente congegnato dell’autore inglese in cui si intrecciano biografia e metateatro.
L’elemento biografico riguarda i due personaggi principali - il poeta W.H.Auden e il compositore Benjamin Britten; il sipario si apre non sulla loro vita, ma su uno spazio teatrale mostrato in ogni suo particolare, nudo, con l’ossatura a vista (travi, tralicci, estintori compresi). Ma la componente metateatrale cede presto il passo all’unità di luogo e questo passaggio - dal teatro-nel-teatro allo spazio inclusivo - avviene con eleganza e senza sottolineature.
Lo rende possibile, oltre alla scenografia, la presenza dell’autore, personaggio cui è affidato il dinamismo dentro-fuori: coerentemente al ruolo, si muove dalla platea al dietro le quinte, descrivendo lo spazio in misura maggiore rispetto ai comprimari e assegnando (virtualmente) un ruolo anche a noi, possibili spettatori di una prova aperta.
Il modulo recitativo scelto ristabilisce invece in parte la quarta parete: questo fare un passo indietro rispetto al pubblico rimane necessario vista la durata della pièce, che a sua volta segue le necessità narrative.
Nel ripercorrere poi la vita dei due grandi artisti, entrambi omosessuali, l’autore introduce la figura del giovane studioso: con questo espediente salvaguarda il dialogo dall’eccesso di informazioni, e consente ai due personaggi di scorrere liberamente senza forzature.
Decisamente degna di nota è l’interpretazione di tutti gli attori, dai protagonisti Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani ai comprimari: la bravissima Ida Marinelli, Michele Radice, Vincenzo Zampa e Umberto Petranca. Capacità e maestria evidenti, generosità nel darsi alla storia, a noi spettatori, al vizio dell’arte che ci accomuna.