Prosa
IMITATIONOFDEATH

Emulare la morte per sentirsi più vivi.

Emulare la morte per sentirsi più vivi.

Quale altra possibilità di sperimentare la morte se non quella di imitarla in un laboratorio vivo ( che paradosso!) in grado di verificare i propri esiti performativi di rappresentazione in rappresentazione, riducendo la morte stessa – e tutti i traslati emotivi e metaforici ad essa afferenti – ad eccezionale recupero della memoria, della consapevolezza e, dunque, della vita?
Il corpo, la voce, i sentimenti, i desideri, le aspettative: tutte coordinate di una dettagliata ricostruzione esistenziale che, se condotta con chirurgica attendibilità analitica, somiglia piuttosto ad un’autopsia che ad una resurrezione, eppure la magia della scena permette ai sedici bravissimi attori protagonisti di Imitation of death una sorta di resurrezione, come se fosse stato loro concesso di muoversi in uno spazio a-storico ed a-temporale in cui passato, presente e futuro, intrecciandosi reciprocamente e provocando ora epiloghi tragici ora soluzioni rasserenanti, consegnasse all’individuo una percezione unitaria e compatta della vita, una visione sincretica e globale dell’esistenza.
Una drammaturgia asciutta che fa da scheletro e sostiene in maniera funzionale l’attitudine del gruppo a percepire suggestioni, stimoli ed oggetti esterni come elementi distinti di una fenomenologia dell’essere che, confrontandosi violentemente con la minaccia della fine, diventa repentinamente fenomenologia di un processo universale che istintivamente ed in maniera irriflessa ci vincola ancora più avidamente alla vita, facendoci affezionare perfino ai segmenti più meschini e mortificanti del nostro vissuto.
Stefano Ricci e Giovanni Forte, insomma, colgono acutamente e drammaticamente il senso recondito della morte in quella specie di canone dell’imitazione che ci spinge, da vivi, ad instaurare un rapporto dialettico fitto e costruttivo con la dimensione del trapasso, quasi come se la nostra intera esperienza sulla terra non potesse acquisire senso compiuto se non dalla sua stessa conclusione, così ogni azione sembra misurare al tempo stesso il nostro stato di “vitalità” ma anche la nostra preparazione di fronte alla morte, come se tra l’alfa e l’omega non ci fosse che la nostra vana ricerca d’identità, di risposte, d’amore e di gratificazione.

Visto il 24-10-2012
al Vascello di Roma (RM)