Prosa
INEFFABILE

<i>INeffabile</i>: nomen omen?

<i>INeffabile</i>: nomen omen?

Claudio Remondi e Riccardo Caporossi, in arte Rem & Cap, propongono al Valle, nell'ambito di una mogografia a loro dedicata che comprende anche la mostra "L’OFFICINA DI REM & CAP" che testimonia 40 anni di lavoro, presentano al pubblico il loro nuovo spettacolo, Ineffabile, frutto di un lavoro svolto nell'ambito di Progetto generazioni che ha coinvolto 25 attori e allievi-attori scelti tra gli studenti di quattro corsi di laurea dei tre Atenei di Roma.
Il risultato è uno spettacolo di indubbio interesse e riuscita scenica che coinvolge direttamente in scena 22 dei 25 partecipanti.
Una figura inquietante, che indossa un cappotto nero dalle lunghe falde e un cappello nero dalla enorme tesa, si aggira per il palco disseminato di sacchi di tessuto, dai quali dopo un po' emergono timide mani, poi le braccia e infine delle persone per intero. Una vera e propria nascita che prende un certo tempo a compiersi. Qualcuno esce subito qualcun altro ci mette di più. Ognuno cura il sacco da cui è "nato", chi da solo chi in coppia. Solo un sacco non si schiude. Molto dopo, quando tutti saranno nati si occuperanno del suo abitante. Un ragazzo, che fatto uscire dal sacco con l'ausilio degli altri, resterà prono, esanime, con gli occhi bendati.
I nati dai sacchi, ragazzi e ragazze, che indossano tutti una maglietta che arriva fino a metà coscia (anche se non tutte sono identiche e qualcuno indossa una sorta di calzamaglia che copre solo una gamba) iniziano a manipolare i teli che hanno ripiegato. Chi ne ricava un cappello, chi una pettorina, chi se ne cinge la vita. Qualche telo viene conteso, ma tutti trovano la propria dimensione. In un silenzio assordante interrotto di tanto in tanto da uno scampanellio, poi da qualche canto, dalle parole incomprensibili, infine da alcuni strumenti suonati da qualcuno che era rimasto ancora dentro ai sacchi, le persone si affastellano in gruppi, seguono alcuni temerari che si arrampicano su tre scale a pioli altissime, che campeggiano sulla scena.
Lo spettacolo prosegue in un ripetersi di gesti e aggregazioni tra i vari nati mai uguale a se stesso. Dai teli a un certo punto vengono ricavati dei mantelli con cappuccio, mentre dall'alto calano gli oggetti più diversi, una pistola, un cannocchiale, un osso (?). Poi alcuni elementi distintivi di Rem e Cap, un bastone e un ombrello mentre gli immancabili cappelli (due dei quali campeggiano per tutto lo spettacolo di proscenio, sopra due sacchi che non si dischiudono) vengo estratti alla fine da uno dei sacchi.
Molte le letture possibili alla portata degli spettatori, secondo la sensibilità e cultura diverse di ognuno, in un chiaro riferimento al teatro povero di Grotowski (i mille impieghi dei sacchi usati anche come strumenti musicali, riempiti di oggetti per creare un suono o fatti cadere a terra a ritmi diversi) costruendo una scena veramente dal nulla (se si escludono le tre scale). Un teatro nel quale l'immobilità, il silenzio e il gesto ripetuto sono l'oggetto di una ricerca precisa prima e dopo la parola.
L'impressione finale che si ha però del lavoro (che si conclude bruscamente quanto i nati iniziano davvero a brulicare di attività) è che questo a questo lavoro manchi una sua necessità di fondo. Come prodotto finale di un laboratorio è senz'altro uno spettacolo di grande efficacia e dignità ma è forse fuori posto sul palco di un teatro come il Valle, sia per la sua importanza artistica, che per la sua struttura storica (un teatro del 1700). Non perchè un luogo antico non possa ospitare il teatro contemporaneo, tutta la programmazione recente del Valle dimostra anzi il contrario, ma perchè Ineffabile ha in sé qualcosa di incompiuto, di aleatorio, di non necessario (nome omen) che in un teatro universitario (se a Roma il Teatro Ateneo ancora esistesse) avrebbe pesato di meno di quanto non accada sul palco del Valle dal quale Ineffabile risulta un lavoro che dà sicuramente di più agli attori che vi partecipano (i quali, anche se giovanissimi allievi, meritavano comunque il nome in cartellone, anche se sono 25) che al pubblico che vi partecipa.
E non è detto che questo sia necessariamente un male come pensa chi scrive.

Visto il 26-10-2010
al Valle Occupato di Roma (RM)