Jesi, teatro Pergolesi, Iniziali: BCGLF
UNA FUSIONE DI PAROLE E CODICI MULTIMEDIALI
Il titolo, a prima vista criptico, segue le iniziali dei due creatori, il regista Giorgio Barberio Corsetti e il cantante Giovanni Lindo Ferretti. Lo spettacolo è una sorta di teatro musicale, un evento multimediale in cui video (belle e strane immagini di Fabio Massimo Iaquone), canzoni, narrazioni, acrobazie, balli, musica, live performances si susseguono e si sovrappongono in una struttura a scatole cinesi. Il protagonista assoluto è Giovanni Lindo Ferretti, cantante e narratore, voce e corpo dello spettacolo. Attorno a lui ballerini ed acrobati, ad evocare una sorta di viaggio ideale che si compone /scompone di suggestioni, voci e stati d’animo, di atmosfere e immagini plastiche, che spazia nel mondo, fino a tornare alle radici della nostra cultura.
All’inizio Giovanni Lindo Ferretti appare dietro un velatino su cui scorre l’immagine dello stesso cantante su un’amaca ripresa dall’alto. Uno dopo l’altro, ecco un elenco di anni, diversi tra loro eppure sempre lo stesso. 2004 per i cristiani, altro per gli ebrei, altro per i musulmani, altro secondo la fondazione di Roma, altro secondo un calendario lunare. Altro. Eppure sempre lo stesso. Come tante visioni del quotidiano, che sembrano diverse, che appaiono sotto diverse forme eppure sono della stessa sostanza.
Giovanni Lindo Ferretti canta la forza e la capacità rigenerante dell’acqua. Sulle sue parole una giovane di colore si muove come acqua, come una dea del mare, il vestito azzurro e lungo ha il sembiante delle onde, come le braccia fluttuano. Poi da sotto la sua ampia gonna escono gli altri sei ballerini, mentre lei è immobile a braccia aperte, sembra una statua dell’era cicladica, la madre terra che partorisce e anche la dea dei serpenti fonte di vita. Come tale accoglie i ballerini, li accarezza amorevolmente, li nutre, lei creatrice, loro creature. Cambia l’atmosfera, subito una lotta per la sopravvivenza, tre corpi unti di olio che scivolano sul telo di nylon trasparente, che cercano invano di afferrarsi, che si scontrano con violenza, che si intrecciano, si aggrovigliano fino a che non vengono chiusi nel nylon e trascinati via, loro che si dibattono rabbiosamente per liberarsi. La parola del narratore si fa dura, incisiva, forte. Le situazioni si susseguono rapide, “un battito di ciglia sonnolente racchiude un’esistenza”. Giovanni Lindo Ferretti di siede su una strana sedia, che sembra un trono o una gabbia per uccelli, poi su questa si libra nell’aria alla debole luce crepuscolare radente e il suo cantare si fa struggente, “viaggiano i viandanti, viaggiano i perdenti”. La voce è bassa, roca. Sullo sfondo appaiono per pochi secondi, mentre girano su piedistalli, immobili come statue, tre operai, poi tre manager col cellulare in mano, poi due militari con mitra e in mezzo un ostaggio incappucciato, poi un papa di colore e due suore inginocchiate. Ad accompagnare ogni racconto le figure attorno. In un caso una parla in prima persona, narrando il surreale (e purtroppo reale) racconto della vischiosità della burocrazia: le peripezie (anche queste acrobatiche) di una cittadina del Gabon nata in Belgio che vive in Francia e lavora in Italia e la rete dei permessi e della legalità, quando questa sembra una trappola.
Il racconto del protagonista continua, sul telo immagini di galline, sul palco donne che camminano imitando galline, sospeso in aria un uomo che cammina a testa in giù, un’immagine tanto poetica e difficile da dimenticare. Subito l’atmosfera cambia. Un gruppo di giovani in abiti metropolitani che litigano, mangiano pop corn e se li sputano addosso, sullo sfondo una crocifissione di due uomini, attaccati per le spalle a braccia aperte con nastro adesivo (quello grande e marrone, usato per i pacchi).
Il narratore è disorientato: “le mie tranquillità sono da poco, la mia serenità sempre un rimando esterno che arriva e se ne va, io incapace e inadatto”. Ma il suo viaggio di scoperte continua. Ora è su una strana sedia che con una molla sotto si alza verso l’alto, verso una panchina sospesa con acrobati che volteggiano, una cameriera che arriva volando a servirli su un tavolo anch’esso sospeso. Una scena surreale, emozionante, soprattutto quando il tocco di una mano crea un sussulto dell’anima, per chi non ha altro per vivere. A seguire un video di intrecci e sovrapposizioni, corpi, mani che indicano, braccia, dita e gambe, la connessione che crea l’amore: “amami ancora, fallo dolcemente, amami per un’ora, perdutamente”, le parole di una struggente canzone di Gianna Nannini.
Il cerchio si chiude, di nuovo l’amaca in cui Ferretti dondola lentamente, un primo piano sempre più stretto e scoprire i dettagli, l’intreccio delle fibre di lana del maglione che indossa. Poi il buio.
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto a Jesi, teatro Pergolesi, il 30 novembre 2004.
Visto il
al
Teatro Al Parco
di Parma
(PR)