Esattamente a due anni dalla prima, avvenuta in Russia 11 ottobre 2010, il Piccolo presenta anche al pubblico milanese il lavoro di Stefano de Luca, frutto della sua collaborazione con il Maly Teatr di Mosca il cui nome, tradotto dal russo, vuol dire, appunto, “il Piccolo”.
Bisogna ammettere che non è stata un’impresa facile. Ma, alla fine, “Arlecchino” ce l’ha fatta a contagiare persino il Maly di Mosca, teatro tradizionalista e purista per eccellenza. Anche se il “Moliere italiano” non vi è estraneo - è stato proprio il suo corifeo, Alexandr Ostrovsky, uno dei pilastri della drammaturgia russa, a tradurre per primo “La bottega del caffè” e a proporla alla compagnia del teatro - soltanto due anni fa il classicissimo dei classicissimi Goldoni agli occhi degli abitanti di questa roccaforte dell’arte teatrale moscovita veniva considerato troppo superficiale e poco consistente per inserirlo nel proprio cartellone. Ci sono voluti solo duecento anni e l’arrivo a Mosca di Stefano de Luca con Ferruccio Soleri con l’ultima edizione di Arlecchino per far sì che il rigido l’accademismo si scostasse leggermente, aprendo uno spiraglio alla frivola battuta della commedia dell’arte.
Infatti la storia dei due fidanzatini meneghini che si torturano a vicenda, ha poco a che vedere con i tormenti delle “Tre sorelle” o dei “Fratelli Karamazov”. Appartenente al genere della commedia di carattere creato da Goldoni stesso, “Innamorati” è, innanzitutto, uno spettacolo molto bello. Tutto sul palco ricorda le pitture a pastello dell’ottocento con la loro ingannevole semplicità sottolineata dai delicati smorzando del compositore russo Grigory Gobernic. La scenografa italiana Leila Fteita ha costruito l’enorme sala della casa di Fabrizio (V. Nizovoy) dove, probabilmente, una volta tutto emanava la ricchezza. Ora invece le sue pareti cadono a pezzi, l’intonaco si presenta screpolato e il soffitto pieno di chiazze gialle. E, malgrado la luce soave dell’autunno lombardo di Claudio De Pace che penetra dalle grandi finestre attenui questa trascuratezza, non è difficile notare che, in generale, l’ambiente si trovi in uno stato di abbandono: nessuno, per esempio, pensa a ripulire i mucchi di foglie accumulatisi negli angoli della stanza o a sbattere i cuscini dei vecchi sgabelli. Poco dopo l’inizio della rappresentazione, però, il motivo diventa chiaro. Gli abitanti di questa casa non hanno il tempo per le incombenze domestiche: ci sono in ballo le nozze tra Eugenia (O. Abramova), nipote di Fabrizio, e il giovane nobiluomo milanese Fulgenzio (M. Martianov). Le nozze sono molto travagliate. I due si amano e sembra che la felicità sia già alle porte. Ma i fidanzatini non si danno pace e litigano in continuazione inventandosi le accuse più assurde e inconsistenti. In sostanza, su questa loro agitazione che precede il matrimonio è costruita tutta la storia. Due anime acerbe, due narcisi che non vogliono venire incontro ai desideri dell’altro considerandolo un atto di sottomissione e di umiliazione della propria dignità. Sono due bambini un po’ cresciuti, due teenager, che, evidentemente, fanno fatica a staccarsi dal gioco. Infatti, mentre i familiari cercano di farli rinsavire, loro, di tanto in tanto, continuano a essere attirati dai vecchi giocattoli sistemati sul lato del proscenio.
Questo tira e molla ha una durata di quasi tre ore, durante le quali gli attori hanno tutto il tempo per esprimersi al meglio nella creazione dei loro personaggi. D'altronde, il genere stesso in cui è scritta la commedia richiede la massima comprensibilità e trasparenza dei caratteri. Anche senza conoscere il russo a nessuno può venire il dubbio sul fatto che Fulgenzio sia irascibile, Eugenia apprensiva, capricciosa e, a volte, anche isterica; che Flaminia sia misericordiosa e indulgente, Fabrizio ridicolo, il conte Roberto canzonatorio e avido di denaro, Ridolfo schietto e fedele. Anche i servi sono delineati con la massima limpidezza: una maliziosa Lisetta, un sempliciotto Tonino e un furbastro Succillio.
E’ difficile inserire questa pièce del maestro veneziano tra i capolavori della drammaturgia mondiale, tuttavia nel suo genere non le manca nulla: la comicità, la chiarezza delle conclusioni, persino la “moralité finale”. E pur non pretendendo di destare delle grandi rivelazioni teatrali, la rappresentazione del Maly diretta da de Luca senza dubbio è un lavoro di qualità, eseguito con molto gusto e in grande stile. Sicuramente un Goldoni così in Italia non si è visto da tempo.