Lirica
INTOLLERANZA 1960

INTOLLERANZA 2011

INTOLLERANZA 2011

A Venezia, dopo cinquanta anni, torna “Intolleranza 1960”, azione musicale di Luigi Nono presentata alla Fenice il 13 Aprile 1961 in una serata burrascosa in cui oltre ai fischi si scatenarono risse e disordini.
Da allora non fu più rappresentata nella versione originale, ma continuò a circolare in Germania in una traduzione tedesca. La Fenice colma ora una lunga assenza e si respira aria di festa e riscoperta: infatti, oltre ad essere stata scelta come opera inaugurale, alla Fondazione Vedova (artista creatore delle scene originali) è stata allestita, con la partecipazione della casa editrice Marsilio, una mostra sulla prima esecuzione, che risulta di notevole interesse per comprendere la genesi dell’opera nel clima culturale dell’epoca.

Luigi Nono accolse l’invito di comporre un’opera da presentare al Festival di Musica Contemporanea della Biennale in un periodo in cui si stava interessando alle possibilità tecniche visive pluridimensionali del teatro d’avanguardia praghese “laterna magika”,  in quanto era alla ricerca di  “una composizione scenica che fosse simultanea e successiva, separata in più piani e sovrapposta per le varie combinazioni tra l’azione viva e quella riprodotta”, utilizzando nastri registrati e proiezioni di immagini da sovrapporre all’azione sul palcoscenico. Il libretto, affidato ad Angelo Maria Ripellino (slavista eccellente in contatto con artisti praghesi a cui Nono intendeva affidare la regia dello spettacolo), fu poi profondamente modificato dal compositore che vi inserì in una sorta di collage, slogan ideologici, pagine di Brecht, Eluard, Majakovski e Sartre, allontanandosi dalla “letterarietà“ originale di Ripellino per farne un’opera-manifesto di denuncia civile e politica.

L’opera procede per scene e cantate, in una successione simultanea di situazioni storiche diverse, e narra di un emigrante italiano che abbandona le miniere in Belgio per tornare a casa. Il ritorno è segnato, attraverso l’esperienza dello sfruttamento, della tortura, del nazismo, dell’alienazione quotidiana, dal destarsi della coscienza e di un nuovo senso di lotta, ma la catastrofe dell’alluvione del Polesine che tutto travolge intride di pessimismo il finale.
Come si intuisce dal titolo, “Intolleranza 1960” è profondamente legata a un particolare momento storico e politico  (l’Italia del dopoguerra, la guerra in Algeria, l’alluvione del Polesine) e può sembrare per certi versi  “datata” in quanto espressione di un teatro di forte connotazione politica in cui i personaggi sono simboli piuttosto che individui dalla psicologia definita, ma i temi trattati, intolleranza e sopraffazione, sono più attuali che mai. Inoltre l’opera rivela in teatro una forte vocazione drammatica e la partitura musicale ha una violenza espressionista che non lascia indifferenti.

L’attuale allestimento nasce da un progetto collettivo affidato a studenti delle Facoltà di Design, Arti e Performings Arts dello IUAV di Venezia con il coordinamento di tutors “eccellenti” (Luca Ronconi, Walter Le Moli,  Margherita Palli, Vera Marzot, Franco Ripa di Meana e altri).
La scena unica vede una struttura metallica dove, come in una gabbia, è disposta l’orchestra a vista su tre livelli, il coro è nascosto in buca e materiale sonoro preregistrato si diffonde da vari punti della sala in una combinazione simultanea e successiva. Anche le luci scure contribuiscono a generare angoscia ed inquietudine. Sul palcoscenico si muovono i cinque cantanti protagonisti, quattro voci recitanti (i gendarmi) e una serie di mimi in tute operaie (di volta in volta minatori, dimostranti, prigionieri, contadini ) i cui asciutti  movimenti, lo sfilare, l’avanzare, il rotolare a terra traducono la crudeltà delle parole e degli stati d’animo, senza indulgere in realismo descrittivo. La produzione cerca di conseguire un massimo livello di astrazione e non fa uso di quelle proiezioni dirompenti che avevano caratterizzato la prima esecuzione, le uniche proiezioni sono i versi di Ripellino e Brecht scritti a macchina sul velatino come titoli di testa e di coda. 
Per l’inondazione finale due ponti inclinati agganciati da catene scivolano verso il basso facendo rotolare i corpi degli interpreti verso gorghi di fango rivelati da un debole sciacquio dell’acqua presente sul palcoscenico.

La struttura a collage si presta alla variazione e all’inserimento di materiale diverso a seconda della situazione, e qui,  nella scena dedicata ad alcune assurdità della vita contemporanea, il nastro magnetico diffonde (anziché le idiozie della burocrazia) frammenti della registrazione della prima del 13 aprile 1961:  i fischi, gli insulti fascisti, i commenti pungenti e la Fenice illuminata ad arte ridiventa soggetto e un’emozione corre per la sala. E non siamo tutti  chiamati in causa quando in un atto di pubblica accusa viene illuminata la platea e la voce recitante si rivolge a noi  mettendoci in guardia dal crimine della passiva indifferenza?

L’ottima esecuzione musicale è stata determinante per il successo dello spettacolo. Stefan Vinke, interprete abituale di musica contemporanea, dimostra grande adesione drammatica ed interpretativa con il ruolo sofferto e dolente dell’emigrante. Cornelia Horak è la compagna, polo positivo che rappresenta la speranza, capace di buon sfogo lirico nei cantabili. Aggressiva e asprigna la donna di Julie Mellor, amante abbandonata che si fa persecutrice spietata. La voce baritonale di Alessandro Paliaga ben esprime l’anelito di libertà dell’algerino. Michael Leibunggut è un torturato.

La nitida direzione di Lothar Zagrosek esalta l’asprezza espressionista della musica di Nono, potente e incisiva, scolpita con violenza nella sua serialità in una tensione cupa ed inesorabile che offre pochi squarci di dolcezza e lirismo. Ben calibrate le diverse fonti sonore, puntuale l’uso di materiale registrato (regia del suono di Alvise Vidolin). Un plauso al coro della Fenice preparato da Claudio Marino Moretti  per un’esecuzione che valorizza al massimo le pagine corali.
Niente più risse  in teatro, ma tanti applausi e una viva emozione per un’opera “forte” che riprende il  posto che le spetta nel repertorio.

Visto il
al La Fenice di Venezia (VE)