Dal 1984, anno della morte di Eduardo De Filippo, innumerevoli sono state le messe in scena delle sue opere, un tempo geloso monopolio, tranne pochissime debite eccezioni, del suo autore. Altrettanto innumerevoli sono stati i modi di rappresentarlo ed interpretarlo da parte di attori e registi, dai più disparati stili, tutti comunque costretti a fare i conti con una presenza ancora viva, nell’immaginario collettivo, di colui che, oltre che esserne l’autore, fu il naturale interprete di questo enorme patrimonio drammaturgico. “Io, l’erede”, opera meno conosciuta di Eduardo, soprattutto perchè da lui poco rappresentata e non tramandata ai posteri da edizioni televisive, proprio per questi motivi rappresenta, nella decisione di riproporla al pubblico, allo stesso tempo una difficoltà ed un vantaggio. La prima è dovuta alla scarsa popolarità del testo, per giunta scritto in un italiano che fa il verso a Pirandello, al quale l’autore non ha mai negato di ispirarsi, il secondo, invece, è rappresentato dalla libertà con cui si può affrontare regia ed interpretazione, senza cadere nella infida trappola del paragone. La regista Andrée Ruth Shammah, si è cimentata quindi in una rilettura sagace, rendendo i personaggi delle vere e proprie marionette, evidenziandone i tic, aumentandone la caratterizzazione fino all’eccesso, pur mantenendo un forte legame con il testo, con un risultato che non lesiniamo dal definire eccellente, facendosi supportare da un cast di tutto rispetto a cominciare da Geppy Glejeses, il protagonista Prospero Ribera, che ha trovato un personaggio del tutto calzante al suo spirito interpretativo, a cui dona un giusto alternarsi di scanzonata perfidia e drammatica ironia. Ottima la prova attoriale del bravo Umberto Bellissimo, che riesce ad estremizzare il ruolo dell’antagonista con grande equilibrio senza cadere in eccessi macchiettistici, laddove invece pecca Marianella Bargilli, che, pur rimanendo fedele all’impianto registico, si lascia andare a sovrabbondanze espressive nel sottolineare i tic di Adele, forse per colpa di un genere non propriamente adeguato alle sue corde. Perfettamente a suo agio invece risulta lo straordinario Leopoldo Mastelloni, tornato finalmente, e ci auguriamo definitivamente, al teatro con la “T” maiuscola, con un’interpretazione in abiti muliebri che, pur suscitando sciocche risatine in un pubblico che è abituato ai travestimenti televisivi targati “Bagaglino” e che quindi non riesce più a distinguere l’arte dalla volgarità, ci dona la più riuscita performance dello spettacolo. Mastelloni riesce ad essere assolutamente in linea con quanto ideato dalla regista, in un continuo alternarsi di toni ironici e drammatici, tanto irreali da sembrare veri. Buona anche la prestazione degli altri interpreti, tutti impegnati in una buona calibratura individuale che la regista riesce a mescolare in un unico universo multicolore, a cui fa da contrasto e da sfondo l’indovinata scenografia di un bianco freddo e decadente, quanto i valori espressi dal testo, liberato dal bozzettismo dell’Eduardo teatrante e proprio per questo più fedele all’Eduardo autore.
Napoli, TEATRO DIANA – 10 Aprile 2007
Visto il
al
Verdi
di Gorizia
(GO)