Prosa
IO, NESSUNO E POLIFEMO

Viaggio nel teatro di Emma Dante

Viaggio nel teatro di Emma Dante

Torna a Napoli (dal 3 febbraio al Teatro Bellini) la drammaturga palermitana, Emma Dante, per presentare la sua ultima opera (tratta dal racconto Intervista impossibile a Polifemo, pubblicato nel 2008 da Einaudi nella raccolta Corpo a Corpo): Io, Nessuno e Polifemo.

La surreale intervista in cui la stessa autrice incontra il ciclope Polifemo, ascoltandone la sua personale versione del noto mito greco, risulta sin da subito un’elegante escamotage per mettere in scena tutt’altro racconto.
In una scena quasi completamente vuota, ove lo stesso fondale è il fondo stesso del palcoscenico, tre ballerine, vestite come quei piccoli manichini da tavolo utilizzati per le composizioni pittoriche di cui ne portano un esemplare tra le mani, con lenti movimenti meccanici, prendono vita. Questo prologo accompagna l’entrata in scena (salendo dalla platea) della protagonista che, letti alcuni versi introduttivi al poema omerico, invita il pubblico, al pari di un novello Dante Alighieri, a seguirla. Si è così condotti all’interno dell’inganno (stavolta narrato dal punto di vista dello sconfitto ciclope) tramato da Ulisse/Nessuno/Odisseo per evadere dalla caverna dell’antropofago Polifemo. Nel contempo cresce, su di un piano parallelo, invisibile e discreta la ragione fondante l’opera stessa.

La consistenza metateatrale della messa in scena conduce ad intraprendere un viaggio a ritroso nella mente creativa dell’autrice ove i protagonisti (Polifemo, Nessuno, le ballerine/manichini) non sono che i bozzetti di una scena composta come un collage concettuale ove lo stesso spazio scenico, col passare del tempo, si compone di nuovi elementi, come le quinte di scena, che spuntano dal palcoscenico (simile in tutto al tavolo da lavoro di un artista). Ed anche se l’insieme è approssimato quanto il schizzo preparatorio di un dipinto, il tratto autografo dell’autrice è indiscutibilmente chiaro.

La poetica di Emma Dante, sempre sensibile all’emotività e alla psicologia delle identità relegate ad esistere in un eterno secondo piano rappresentativo (sociale e narrativo al contempo) si realizza, non tanto nel punto di vista del vinto ciclope, quanto nell’assolo che vede protagonista Penepole. Le tre ballerine, con ora indosso bianchi talari, srotolano un telo dalla lunghezza indefinita che le copre, al contempo, come un velo nuziale ed un sudario, legando quest’immagine alla tela infinitamente filata dalla moglie di Odisseo, per rimandare il compiersi del proprio destino. Destino di cui non potrà essere protagonista ma solo supplice sposa.

In un’atmosfera di stravagante estrosità espressiva, tra un Polifemo ed un Nessuno che spogli delle proprie maschere epiche indossano quelle dialettali (esprimendosi in napoletano e segnando con ironia l’amore dell’autrice per l’uso degli idiomi locali), superando eccessivi istrionismi nel canto e nel ballo, si giunge all’epilogo. Il ciclope ed Odisseo si allontanano verso il fondo del palco ove si è innalzato, come fondale, un sipario. Al contempo, il sipario principale conclude la scena alle spalle della protagonista che, sola sul proscenio, accoglie il caloroso applauso della platea.

Per quanto l’opera, per sua stessa natura, risulti disorganica e, a tratti, carica di accenti troppo autoreferenziali, nondimeno porta con se una rara autenticità autorale, sincera e puntuale che stimola e coinvolge. Entusiasmante (come sempre nel teatro della Dante) l’uso della fisicità come virtuoso mezzo di espressione emotiva, qui, nuovamente rivelatosi nell’eccellente prova di Federica Aloisio, Viola Carinci, Giusi Vicari.

Visto il 03-02-2015
al Bellini di Napoli (NA)