Corrado d’Elia si immerge in modo viscerale nell’universo di Van Gogh. Applausi a scena aperta per uno spettacolo coinvolgente, autentico e di rara intensità.
Attore, regista, sceneggiatore, Corrado d’Elia mette in scena uno spettacolo dedicato a uno dei più celebri e mitizzati pittori di tutta la storia dell’arte: Io, Vincent Van Gogh. Un racconto, un album che pagina dopo pagina ci svela l’animo di un uomo il cui genio tracima con il passare degli anni nella follia, che forse altro non è se non una forma assoluta di bruciante passione per l’arte, consumata fino al sacrificio di se stesso. La sua esistenza terrena, pur così infelice, resterà in eterno illuminata dal fuoco di questa ispirazione inesauribile.
La vita e l’arte
Il doloroso dilemma fra “vita e arte” è dunque uno dei fili conduttori della vita del pittore olandese. Lo spettacolo di d’Elia ne segue il travagliato percorso attraverso una serie di “quadri” che ne narrano le vicende fin dalla nascita, segnata, quasi fosse il presagio di un futuro difficile, dalla morte del fratello (da cui eredita il nome Vincent), avvenuta esattamente un anno prima della sua venuta al mondo. L’io narrante è quello dell’artista stesso, in un tragitto che lo porta a Parigi, ad Arles, sempre a caccia di luce, di colori, di emozioni da riprodurre su tele il cui acquisto prosciuga i suoi miseri guadagni: le sue opere non piacciono, nella vita ne venderà una sola a una cifra irrisoria.
La parabola di Vincent si allunga febbrile, in una ininterrotta e inestinguibile sete di arte. Cerca conforto, in una solitudine sempre più profonda, nel fratello Theo, cui scrive lettere spesso disperate, e poi nell’amicizia con il grande pittore francese Gauguin. Quindi il manicomio e il suicidio, a concludere in modo tragico un percorso umano segnato dall’altrui incomprensione. Forse non poteva essere diversamente, per un uomo che si innamorava come un ragazzino di una prostituta e fissava, nelle notti limpide, le stelle vorticare dentro il blu del cielo.
Il mosaico emotivo di Van Gogh
Su un palcoscenico che rimanda ai gialli campi di grano, così amati da Van Gogh, è posta una semplice sedia. Nessun dipinto, nessuna traccia visiva dell’arte di Vincent. Da quella sedia, come da un pulpito campestre, d’Elia s’incammina, in prima persona, lungo l’accidentato sentiero del mondo del pittore. Squarci di vita, scanditi da luci violente e da brevi e potenti intervalli sonori, si susseguono e si intessono in un mosaico che è prima di tutto emotivo: ben più dell’artista emergono con prepotenza l’uomo e la profonda sensibilità del suo cuore, che ci si immagina dipinto con grandi volute colorate, le stesse che hanno reso inconfondibile la sua pittura.
Un intenso flusso poetico
D’Elia si immerge in modo viscerale nell’universo di Van Gogh. Lo fa suo seguendone la vita in un emozionante flusso, un poema serrato e incalzante che assume un ritmo dall’andamento quasi epico. I pensieri, i sentimenti, le allucinazioni del pittore rivivono nei loro toni più delicati e più accesi, trascinandoci nel paradiso delle tinte luminose e nell’inferno del manicomio dove la (presunta) pazzia di Van Gogh prende infine corpo in un urlo agghiacciante.
Applausi a scena aperta per uno spettacolo coinvolgente, autentico e di rara intensità.