Lirica
IPHIGéNIE EN AULIDE

Roma, teatro Costanzi, “Iphig…

Roma, teatro Costanzi, “Iphig…
Roma, teatro Costanzi, “Iphigénie en Aulide” di Christoph Willibald Gluck IL VIAGGIO DI IFIGENIA Iphigénie en Aulide è uno dei capolavori di Gluck e presenta i principi programmatici della sua riforma, che tende a ricondurre il dramma all’unitarietà: tutto è fuso in un linguaggio non convenzionale, caratteristico di quell’opera. Il soggetto era popolare nel Settecento, già musicato dai napoletani Scarlatti, Porpora, Jommelli. Gluck rivela molte novità rispetto ad Orfeo ed Euridice e ad Alcesti nella vocalità severamente drammatica e nel maestoso sinfonismo. Iphigénie en Aulide è la prima opera scritta da Gluck appositamente per Parigi, senza cioè rielaborarne una precedente. All’Opera di Roma si è dato, in versione originale francese, l’allestimento scaligero (fu in scena agli Arcimboldi negli anni del restauro del Piermarini) con regia, scene e costumi di Yannis Kokkos, adattato agli spazi del Costanzi. La scena è pressoché fissa per i tre atti, una scatola celeste (nuvole che sfumano nel mare) con quinte che scorrono e una scalea. Unici elementi grandi polene, a ricordare il senso del viaggio nel periglioso mare, sia per gli Achei che nella vita. Le polene hanno una mano aperta, tesa in avanti e l'altra trattiene un rotolo di pergamena, come se, in attesa di partire, chiedessero che il sacrificio fosse compiuto. I costumi sono vagamente storici, nel senso che rimandano a un’antichità non classica (non sono pepli in senso proprio) ma neppure neoclassica, nonostante le parrucche e un certo stile larvatamente impero. La regia si limita a regolare ingressi ed uscite del coro, che in scena è sempre implotonato, ed a imporre ai cantanti gestualità convenzionali: braccia in alto per il dolore, inchini alla principessa, scatti repentini per il furore, accucciati a terra per il dolore. Nel finale Diana scende dall’alto su una nuvola oscillante; Ifigenia se ne va a piedi, sfilando in mezzo al coro con lo sguardo perso in lontananza, già in un’altra dimensione. La versione è quella originale in lingua francese ma con il finale rielaborato da Richard Wagner: a regista e direttore è sembrato più coerente con la storia il fatto che Iphigénie se ne vada con Diana invece che morire (altrimenti come spiegare Ifigenia in Tauride). Conservato il ballo del secondo atto, trasformato da Marco Berriel in una pantomima che spiega i fatti che hanno originato la guerra di Troia. Ecco tre dee: Era si sventola con piume di pavone, Atena ha l’elmo in testa e Afrodite un fiore in mano. Arriva Paride con il pomo della discordia; le tre dee gli offrono rispettivamente la ricchezza, la vittoria militare e l’amore della bella Elena, presente ma velata. Paride sceglie Elena durante un passo a due. In mezzo a opposte fazioni (bianchi da una parte e neri dall’altra) si trova Elena, sullo sfondo di modellini di velieri. Riccardo Muti è nel suo repertorio ideale ed ha dato una lettura ottima della partitura, parzialmente assecondato da un’orchestra che evidentemente vuole seguirlo ed ha assimilato la sua lezione meglio del coro. I tempi sono perfetti, il suono è intenso, mai pesante, l'atmosfera intima e rarefatta (la vicenda è una dramma privato, prima che epico). Muti sceglie una tinta marmorea, scolpendo suoni prevalentemente drammatici, con echi sinfonici che preludono all’Ottocento, Berlioz in primis. E così appare coerente il finale wagneriano. L’amalgama buca-palco è perfetto, così come l'accordo tra il Maestro e l'orchestra, il che fa ben sperare per il futuro (desta però perplessità il nodo sovrintendenza). Krassimira Stoyanova è una Iphigénie dalla voce possente in ogni registro, sicura ma flessibile nelle frequenti mutazioni dinamiche della linea di canto, bella e piena di luce, capace di rendere l’ampio ventaglio di colori; particolarmente struggente l’addio finale, applaudito dal pubblico a scena aperta. Ekaterina Gubanova è una Clytemnestre materna ed erinnica, la voce è piena e capace di rendere le sfumature della parte, anche nelle frasi sussurrate. Corretta la Diane di Beatriz Diaz. Meno bene sul versante maschile. Alexey Tikhomirov è Agamemnon dalla bella voce scura ma poco agile e con pronuncia vistosa. Avi Klemberg affronta con coraggio la parte pressoché impossibile di Achille, ma la voce è corta nelle terribili, acuminate asperità. Corretto il Calchas di Riccardo Zanellato, come anche Vittorio Prato (Patrocle) e Carlos Garcia-Ruiz (Arcas). Con loro Francesco Marsiglia, Giulio Mastronotaro, Alessandra Ruffini, Sara Allegretta, Miljana Nikolic, Monica Tarone e Marta Moretto. Il coro, preparato da Andrea Giorgi, è in parrucca bianca, come i Lords inglesi. Teatro pieno, pubblico plaudente soprattutto per le due protagoniste femminili, un trionfo per Muti. Visto a Roma, teatro Costanzi, il 21 marzo 2009 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il