Lirica
IRIS

IRIS NEI FUMETTI MANGA

IRIS NEI FUMETTI MANGA

Con il termine orientalisti si intendono i pittori e gli artisti che nell'Ottocento si sono applicati alla rappresentazione di paesi esotici, soprattutto del vicino e lontano Oriente, ricorrendo a immagini e sensazioni di luoghi e costumi ricchi di suggestioni fantastiche, remoti nel tempo e nello spazio. In pittura si parla di esotismo già a partire dagli anni Trenta, mentre nella musica bisogna aspettare di più perchè la musica assuma effetti timbrici nuovi ed armonie insolite, con l'inserimento di temi musicali orientali (argomenti esotici erano già stati trattati senza che le partiture ne risentissero). Nel 1898 Iris rappresenta qualcosa di completamente nuovo nel panorama della lirica, sia per l'ambientazione nell'estremo Oriente, sia per la musica, in anticipo rispetto alla pucciniana Madama Butterfly, peraltro molto diversa, perchè in Puccini il Giappone è realistico e vero e i suoni autentici, mentre in Mascagni il Giappone è simbolico, una terra di fiaba, di sogno, lo sfondo esotico di una storia di cronaca nera di rapimento e avvio alla prostituzione.

Partendo da questo il regista Federico Tiezzi lavora sull'astrazione, ambientando la vicenda in un contenitore vuoto, uno spazio bianco e spoglio, uno spazio zen minimale ed essenziale (comunque orientale) di Pier Paolo Bisleri perfettamente illuminato da Gianni Pollini. I personaggi si muovono su pedane nere scorrevoli e vestono costumi coloratissimi e giapponesi di Giovanna Buzzi. I movimenti sono puliti ed eleganti, anch'essi essenziali, limitati al massimo: Tiezzi è davvero bravo, con la complicità delle coreografie di Virgilio Sieni riprese da Chelo Zoppi.
All'inizio una massa di operai sistema le pedane, fa scendere dall'alto il disco grigio del sole e canta l'inno: forse il rimando è al sole nascente, simbolo del socialismo, oppure al bell'allestimento brechtiano di Uccelli di Aristofane, che Tiezzi ha realizzato insieme a Sandro Lombardi. In ogni caso efficace, suggestivo. Il rimando brechtiano torna nel terzo atto, il momento più felice dello spettacolo, con quei cenciaioli vestiti di abiti giapponesi fatti con i sacchi neri dell'immondizia che frugano con gli uncini nel fango, nel leggero crepitìo della plastica. In mezzo a loro, in kimono viola e giallo con l'obi verde, Iris si chiede “perchè, perchè... perchè?” e le voci degli egoismi non portano vere risposte (tre anziani barbuti e canuti che ricordano le Trinità etiopiche). Ma il nero scompare, torna la luce, torna il sole e con esso la vita. Surreale, più che sovrannaturale. Con due affettuosi e teneri topolini che piantano le iris, mentre Iris è a terra tra alberi di spugna fucsia, illuminata dal sole, un cerchio di luce che irrora il suo corpo e i fiori, mentre il pavimento si alza verso la platea, quasi un'assunzione in cielo.

Nei primi due atti la vicenda è raccontata in modo fedele ed efficace, con le mousmè in riva a un ipotetico fiume (riprodotto con teli di stoffa agitati a mano), la “rappresentazione” con i replicanti dei protagonisti mossi come fantocci, la canzone della piovra esemplificata da un fumetto manga in bianco e nero, lo Yoshiwara trasformato in un locale di lap dance con tubi al neon. Lunga la serie delle citazioni cinematografiche: da Arancia Meccanica a Bella di giorno, dal pulp di Tarantino al cartoon Disney, da Minnie e Topolino alla tradizione giapponese. Il disegno manga torna alla fine: sul velario una ragazzina di profilo, bianco e nero, una rossa lacrima scende dagli occhi. Iris, vittima dell'egoismo. Perchè? Per chi?

Rachele Stanisci è Iris, bella e convincente nel sottile divario tra ragazza innocente e donna sensibile, vocalmente potente, sicura nel registro centrale ampio e voluttuoso. Manrico Signorini è la voce scura del Cieco, una presenza poco paterna che presto diventa puro egoismo. Sung Kyu Park è Osaka potente ed espressivo, mai coinvolto emotivamente, gelidamente crudele (aveva già sostenuto il ruolo nel 2007). Prestazione di lusso quella di Bruno De Simone come Kyoto, venato da leggero umorismo che rende ancora più drammatico il personaggio. Bene la Guecha di Francesca Micarelli e il Cenciaiuolo di Iorio Zennaro. Completano il cast Salvatore Schiano di Cola (un merciaiuolo), Alessandro Andreoli e Alex Magri (due cenciaiuoli) e il coro dell'Arena preparato da Armando Tasso.
Gianluca Martinenghi guida l'orchestra di casa con perfetti i tempi e suoni giusti nel sottolineare gli elementi della partitura che rimandano alla scapigliatura velati di decadentismo e simbolismo.

Poco pubblico per un'opera rara e uno splendido allestimento; molti gli applausi.

Visto il
al Filarmonico di Verona (VR)