Prosa
ITALIANESI

LA FORZA DELLA SEMPLICITA'. SOTTOVOCE

LA FORZA DELLA SEMPLICITA'. SOTTOVOCE

Saverio La Ruina va considerato tra i maggiori esponenti del teatro di ricerca, avendo vinto negli ultimi anni ben tre volte il premio Ubu (una sorta di Oscar del teatro italiano) come miglior attore protagonista per Dissonorata e Italianesi e come autore di Dissonorata, entrambi rappresentati al Feronia di San Severino nelle ultime due stagioni. Alcuni critici lo paragonano a Eduardo De Filippo per l'intensità dell'interpretazione e la forza della scrittura. Il teatro di Saverio La Ruina è quello che si definisce “teatro di narrazione” in quanto in scena c'è lui da solo che racconta una storia.

Il sipario si apre su una scena vuota, solo una sedia e un uomo con un maglioncino rosso a v su camicia bianca e cravatta stretta stretta, i capelli sistemati “alla meglio”. Il passo è incerto, l'accento vagamente calabrese (con quelle “i” impropriamente accentate), le spalle curve per una rassegnazione che non ha età. Conosciamo subito Tonino e la sua storia, vengono da lui stesso raccontati a un pubblico che, trasportato sulle ali dei suoi ricordi, silenzioso e attento a ogni singolo cenno di emozione disegnata sul volto dell'attore o descritta dal tono di voce, ascolta. Ascolta ammaliato. La Ruina ha senso poetico e rende visibile l'anima del personaggio con un parlare che è tutto interiore. Tonino è un sarto, nato in un campo di concentramento vicino Tirana da un italiano e un'albanese; si è sposato e ha avuto figli nel campo, senza mai uscirne. Ha vissuto nel mito del padre e dell'Italia che poi è il mito della libertà per lui che non ha una vera identità, sospeso fra due mondi, in bilico fra due patrie senza averne nessuna. Quando esce dal campo ha quarant'anni, cerca il padre e l'Italia ma ne resta doppiamente respinto, rifiutato come un estraneo che obbliga a interrogarsi.

Italianesi narra una storia vera: quella di un migliaio di figli di italiani internati in Albania, loro terra natale, rei di essere nemici del regime salito al potere dopo la fine della seconda guerra mondiale. Persone che vissero segregate: non albanesi in quanto figli di italiani, ma non italiani in quanto nati in Albania. Solo una sovrapposizione, “italianesi”, i quali, quando finalmente dopo 40 anni rientrarono in Italia, furono bollati come stranieri e discriminati.
Attraverso micro e macro flashback, passaggi da fatti storici a vicende private, La Ruina vuol far riflettere sulla drammaticità delle vite di chi ha trascorso quasi l'intera esistenza senza la libertà di fare niente, senza dire-andare-pensare come avrebbe voluto. Con la fine del comunismo, i campi sono stati chiusi e i prigionieri finalmente rilasciati, liberi di tornare a quella che doveva essere la loro patria, il loro nido, la loro casa: l'Italia. Ma dopo 40 lunghi anni che sapore ha la libertà? Come si viene accolti in un paese del quale si è sempre sognato e di cui ci si è fatta un'idea precisa solo attraverso voci, speranze, illusioni?

Lo spettacolo parla di dittatura e di oppressione e risulta ancora più efficace perchè il racconto è dimesso, sospeso fra tenerezza e stupore, con gli occhi candidi di un bambino che non è mai cresciuto. E commuove non tanto la storia quanto il modo in cui viene raccontata. Questa è la forza che La Ruina è stato in grado di innescare: nelle sue parole c'è una voce che ne amplifica tante altre, sopite dal tempo e dalla dimenticanza.
Introducendolo, Antonio Audino, giornalista di RAI Radio 3 e critico teatrale del Sole 24 Ore, ha detto una cosa molto bella quanto vera: in un'epoca in cui gridare e cercare con la forza di innescare idee nelle menti della gente sembrano l'unico modo per comunicare, l'attore rovescia la situazione e sottovoce, quasi timidamente, racconta la sua storia, emblema di tante altre, spunto di una riflessione che parte dal suo racconto ma lascia il segno in chi ascolta.
Forse per questo la replica riservata alle scuole è stata un successo incredibile, con gli studenti silenziosi e attentissimi a non perdere neppure una parola. E un uragano di applausi nel finale come nella recita per gli abbonati a cui io ho assistito.

Le note di Roberto Cherillo al pianoforte non sono solo di accompagnamento ma creano atmosfera e le luci contribuiscono in modo fondamentale alla riuscita dello spettacolo, facendo emergere il protagonista dal buio e evocando, nel finale, uno sbiadito tricolore.

Italianesi ha chiuso la stagione in abbonamento del Feronia; al momento dei ringraziamenti finali molti in platea si sono commossi alle parole del direttore artistico Francesco Rapaccioni che ha insistito sulla solidarietà della piccola comunità di paese, sulla forza indissolubile dell'amicizia, sul valore della collaborazione e soprattutto sulle scelte artistiche guidate da quello che ha definito “il primo e fondamentale comandamento laico della mia vita: se guardi il mondo con gli occhi dei più deboli e degli indifesi, puoi contribuire a costruire un mondo migliore per tutti”.

FRANCESCA FELIZIANI
V liceo scientifico

con questa recensione si chiude il progetto con cui gli studenti di San Severino hanno recensito gli spettacoli in abbonamento al Feronia, patrocinato dall'Ordine dei Giornalisti delle Marche

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