Lirica
JAKOB LENZ

Macerata, teatro Lauro Rossi,…

Macerata, teatro Lauro Rossi,…
Macerata, teatro Lauro Rossi, “Jakob Lenz” di Wolfgang Rihm UN POETA IN MANICOMIO Dopo i primi lavori giovanili di esplorazione e superamento dell'avanguardia, Wolfgang Rihm scopre in Jakob Lenz una drammaturgia narrativa dalla musicalità fluente ai confini della tonalità e di forte partecipazione emotiva. I suoi modelli di riferimento sono evidenti: Mahler, Berg e gli espressionisti da una parte, Nietzsche, Hölderlin e Büchner dall'altra. Proprio da Georg Büchner è tratto il libretto dell'opera, ispirata alla tormentata figura di Jakob Lenz, poeta e drammaturgo vissuto nel Settecento e con problemi di schizofrenia, che ebbe con Goethe alterni rapporti, ora di amicizia, ora di rivalità, anche sentimentale. Il pastore e terapeuta Oberlin si prese cura di Lenz all'inizio della malattia, come narrato nell'omonimo romanzo, ma il finale dell'opera se ne discosta, anticipando la morte di Lenz, conclusione prevedibile ed inevitabile. Scritta contro i dogmi della non-narratività, Jakob Lenz è centrata sulla figura del poeta tedesco, rappresentato come errante ed inquieto nell'alternare momenti di lucidità a deliri profondi, fino a divenire folle perdendo ogni contatto con il reale, minato dalla ricerca di un senso e di un posto nel mondo, consapevole della impossibilità di inserirsi come artista nella società e come uomo nella vita, lui che era un purista, avanguardista in arte e letteratura. In modo assai efficace Henning Brockhaus ambienta la pièce in un manicomio, con criteri non naturalistici: uno spazio degradato, un luogo pubblico angosciante, che riflette l'anima del protagonista e che potrebbe accadere sempre. Sono stati inseriti frammenti di prosa tratti dal Lenz di Büchner con fine didascalico, staccando alcuni dei quadri per aiutare la comprensione del pubblico. Invero questo spezza la serrata compattezza della pagina musicale, dilatando i tempi di esecuzione, nonostante la bellezza della prosa di Büchner (paragonabile a Kleist). La scrittura quasi cinematografica di Rihm diventa, nella intelligente regia di Brockhaus (autore anche della splendida, angosciante scena fissa, con i muri scrostati realizzati con garze in cui si imprimono volti e mani, figure indefinite, ectoplasmatiche), l'andamento delle voci interne del poeta. All'inizio un urlo lancinante, ripetuto da sei voci: è subito chiaro che Brockhaus pone l'accento sulle voci interiori, descrivendo oniricamente l'urlo di Lenz che rifiuta quello che è aprioristicamente e rigidamente gerarchizzato a favore di una diversità che non riesce a sopravvivere in un mondo univoco dettato da dogmi. Musicalmente Rihm pone in relazione forme diverse, coniugandole con una vocalità asciutta e una strumentazione scarna e cupa, a sottendere la follia ossessiva del poeta, ossessionato dalle voci, incompreso dalle persone che gli sono vicino, fino all'esplosione della malattia mentale, fino alla morte. Brockhaus va oltre, si chiede dove comincia la follia e se la normalità è la vera follia, i cui confini sono indefinibili: senza lo scambio di idee e il mutamento di luoghi l'uomo, costretto nei binari della normalità, rischia di precipitare nel baratro della follia. E Lenz finisce in camicia di forza. Giuseppe Ratti ha diretto l'Orchestra Filarmonica Marchigiana in modo esatto e puntuale, esprimendo l'asciuttezza espressionistica della partitura ma non mancando di curare i momenti romantici come quelli cupi, i richiami colti e le intuizioni modernistiche. Ha anche ben coordinato il coro della Fondazione Festival Pucciniano, le voci bianche dei Pueri Cantores Zamberletti, gli attori comparse durante l'esecuzione musicale, recitanti gli intermezzi in prosa) e gli interpreti: Tomas Möwes è generoso nel tratteggiare in modo cupo e violento Lenz, Michail Ryssov è il costante ed amorevole Oberlin, Lorenzo Caròla l'antagonista mentale del protagonista, tutti e tre rigorosi, perfetti nella voce e nella capacità attoriale. I costumi di Gancarlo Colis si adeguano perfettamente alla scena e mi hanno richiamato alla memoria immagini degli Amish, mentre le luci di Franco Ferrari completano il tocco di degrado e di angoscia senza soluzione della scena. Teatro gremito, tantissimo giovani, un trionfo per questa prima esecuzione italiana in forma teatrale (era passata al Maggio Fiorentino ma come recital) per il Festival “Terra di teatri”. Segno beneaugurale per la prima produzione di “Palcoscenico Marche”, il circuito M3 (Marche Musica per il Mondo), che unisce il polo lirico-sinfonico marchigiano (Sferisterio, Teatro delle Muse, Orchestra Filarmonica Marchigiana) e vari enti territoriali. Visto a Macerata, teatro Lauro Rossi, il 24 ottobre 2007 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Lauro Rossi di Macerata (MC)