Uno spazio circoscritto, che fin dai primi istanti evidenzia il dualismo tra oppressione e libertà.
La “nebbia londinese” che si sparge nei dintorni – grazie alla macchina del fumo – evoca quella familiare sensazione di “magico”, vissuta nei parchi a tema durante l’infanzia. E un musicista (Marco Sforza) che strimpella una chitarra, incurante della bruma notturna…
In quest'atmosfera, il pubblico assiste a Jekyll e Hyde – Uno strano caso, allestimento tratto dal romanzo di Robert L. Stevenson) con la regia di Angela Ruozzi e Marco Maccieri, interpretato dagli attori della compagnia MaMiMò.
La scena di Antonio Panzuto è essenziale e “raccolta”, quasi intima, ma allo stesso tempo la presenza di oggetti di scena mossi a vista dagli stessi interpreti sembra voler preludere a un imprevisto in procinto di esplodere.
Il dottor Henry Jekyll (Maccieri), in seguito ad alcuni esperimenti condotti con l’obbiettivo di separare – all’interno di un singolo essere umano – il “bene” dal “male”, inizia a trasformarsi in un doppelganger: Edward Hyde (Marco Merzi). Se Jekyll è un rispettato medico, con una tranqilla vita sociale e una rispettabile cerchia di amici, Hyde vaga per le strade di Londra, commettendo delitti, noncurante del prossimo. Uno strano testamento e alcune lettere di Jekyll, però, cominciano a insospettire i due amici a lui più vicini, l’avvocato Utterson (Luca Cattani) e il dottor Lanyon (Alessandro Vezzani), che cominciano a indagare e scoprono – ormai troppo tardi per salvarlo – il segreto di Jekyll.
In questo adattamento dal romanzo di Stevenson, Emanuele Aldrovandi riesce, senza strafare, quasi in punta di piedi, a conservare le istanze tardo-ottocentesche espresse dall’autore intatte – finanche attuali ai giorni nostri - soprattutto per bocca del personaggio del dottor Lanyon.
Nel romanzo, pubblicato nel 1886, non viene fornita dall’autore una precisa collocazione temporale della vicenda raccontata e va osservato che, nella drammaturgia di Aldrovandi, i riferimenti a Oscar Wilde – con Il Ritratto di Dorian Gray (1890), raccontato dalla cameriera del dottor Jekyll (Cecilia Di Donato), quasi fosse un sogno – e alla psicanalisi di Freud, potrebbero far supporre di assistere a una vicenda già totalmente “novecentesca”; segno di quanto il tema della separazione tra bene e male - entrambi atavicamente presenti nella natura umana – trascenda le epoche, continuando a essere spunto di profonda, ma non assoluta, riflessione anche per l’uomo contemporaneo.