Prosa
JOHN GABRIEL BORKMAN

J.G. B.

J.G. B.

Piero Maccarinelli porta in scena John Gabriel Borkman, curando la caratterizzazione dei personaggi e ambientando l’opera in un tempo sospeso, rendendo così lo spettacolo più fruibile e vicino al pubblico in sala. Il dramma scritto da Ibsen, drammaturgo norvegese, nel 1896 prova a raccontarci la società di quei tempi come attraverso una fotografia. Lo stile ibseniano fa si che all’apertura del sipario ci si trovi alla resa dei conti: protagonisti due sorelle gemelle Ella e Gunhild; due uomini Borkman padre John Gabriel, e Borkman figlio Erhart, un passato che li ha uniti e divisi, che li ha visti lottare e credere nelle loro scelte e che ora ce li presenta immobili, ma ancora con la voglia di affermare le proprie vite grazie al riscatto dell’unico giovane della famiglia, Erhart Borkman.
Borkman padre era un uomo di successo e stimato in paese fino al suo tracollo finanziario, in scena Massimo Popolizio, anche attraverso il corpo assume i tratti peculiari di  quest’uomo che vive solo ed unicamente per la realizzazione del suo sogno. E’ un uomo di quelli che si definiscono tutti d’un pezzo, lui ha investito tutta la sua vita e ha ponderato tutte le sue scelte al fine di realizzare il suo unico scopo: figlio di un minatore vuole riscattare la sua vita aiutando lo sviluppo industriale della sua città e per realizzare questo è disposto ad usare ogni mezzo. In scena Borkman padre viene recitato con il carattere di un uomo forte che non deve chiedere mai, anche quando si rapporta a persone per lui amiche ha sempre un atteggiamento altezzoso e supponente.
Ella è una donna che ha amato il suo John Gabriel ma da lui è stata respinta senza aver mai conosciuto la vera ragione. Quando la famiglia Borkman ha subito il fallimento economico ha deciso di prendersi cura del loro figlio, ancora troppo piccolo, e allevarlo e crescerlo come fosse un figlio suo. Ora è una donna in fin di vita che cerca braccia accoglienti e sicure tra le quali trascorrere gli ultimi giorni della sua vita. La Mandracchia esprime nel volto, nei gesti e nei toni ora sommessi, ora supplichevoli, ora arrabbiati i suoi stati d’animo dando maestosità al personaggio. Gunhild è la sorella mai scelta, la mai amata, è la moglie di Borkman ma solo perché lui ha dovuto rinunciare ad Ella, è rispettata da suo figlio Erhart in quanto sua madre naturale, ha con la sorella un rapporto di conflittualità e rivalità,  da sempre si contendono l’amore. In scena è Lucrezia Lante Della Rovere nella quale riscopriamo notevoli capacità attoriali.
Erhart, al secolo Alex Cendron, ci regala un Borkma figlio legato alle figure che lo hanno cresciuto ma allo stesso tempo voglioso di evadere dalla realtà familiare che lo sta schiacciando e ansioso di prendere in mano la sua vita e decidere della stessa. Le corde che vibrano nel suo personaggio sono balbettanti nel primo atto quando è forzato dalla madre a dichiarare apertamente le sue scelte, poi nel corso dell’opera acquista sicurezza, sostenuto dalla zia e amato dalla signora Fanny Wilton, fino a punto di decidere del suo futuro e partire con la sua amata alla ricerca della felicità.
Mauro Avogadro porta in scena l’unico amico rimasto vicino a J. G. Borkman, Vilhelm Foldal. A lui viene affidata la metafora dei figli che prendono in mano la loro vita passando sul corpo dei genitori, nell’ultimo atto verrà investito da una carrozza sulla quale viaggiava la figlia, partita per realizzare i suoi sogni.
Belle le scene, suggestiva in modo particolare quella dell’ultimo atto, in cui J.G. Borkman e Ella sono nel bosco. Suggestivi anche i costumi.
Gli attori danno al testo il ritmo e l’accezione giusta per rendere il J.G. Borkman un’opera ancora oggi fruibile, peccato che i J.G. Borkman moderni non paghino le conseguenza delle loro azioni.
La regia accompagna l’opera con fare armonioso, nel primo atto le due donne fanno una danza senza esclusione di colpi che crea nella scena il ritmo e il movimento adatti al momento emotivo importante che stanno vivendo i due personaggi. Anche in seguito, mentre si contenderanno l’amore di Erhart, si fronteggiano, si scontrano, si allontanano, si studiano con gesti, sguardi e intenzioni che riescono a trasmettere allo spettatore l’autorevole significato e la capacità stilistica delle interpreti.
J.G. Borkman non perde mai la sua posizione composta e fiera come di chi non ha sbagliato nulla in vita sua e che si trova dove è a causa di un mero incidente del destino perlopiù arrecato da altri.
Sulla battuta “Una mano di ferro” il pubblico avrebbe dovuto accendersi in uno scroscio di applausi…con una sola battuta Popolizio ha reso lampante il lato più vero del suo personaggio: la sua brama di potere.
Consigliamo vivamente di vedere lo spettacolo in scena al Teatro Eliseo fino al 4 novembre.

Visto il 16-10-2012
al Eliseo di Roma (RM)