Lirica
JUDITHA TRIUMPHANS - ATTILA

La stagione di Giuditta

La stagione di Giuditta

Definire “dittico” la proposta dello Sferisterio opera festival mi è parso riduttivo, non cogliere esattamente la realtà della proposta, perchè semanticamente “dittico” indica un unicum composto di due parti simmetriche (o quasi) e nel caso de quo ciò non è. L'accostamento ha destato curiosità e interesse vivo e nasce dal fatto che Odabella nel prim'atto dice: “Foresto, rammenti di Giuditta che salva Israele? Da quel dì che ti pianse caduto con suo padre nel campo di gloria, rinnovar di Giuditta l'istoria Odabella giurava al Signor”. Quindi, per inquadrare la situazione, si è pensato di far precedere Attila dalla Juditha di Vivaldi in questa che pare essere la stagione di Giuditta, dopo la proposta del Ravenna festival, che ha messo in scena in sere consecutive le partiture di Mozart e Jommelli, rispettivamente al teatro Alighieri in forma scenica e nella chiesa di Sant'Apollinare in forma di concerto.

Massimo Gasparon ha ideato una scena fissa adatta ad entrambe le situazioni, un ambiente astratto che ricorda un odeon greco (con i gradoni a circondare uno spazio centrale), sovrastato da alte colonne di travertino di sapore mussoliniano. I costumi di Gasparon sono di ispirazione classica con lunghi pepli che ricadono formando morbide pieghe come le sculture dell'epoca ellenistica, esaltando le pose immobili o i lenti movimenti dei personaggi che rimandano a una sacrale compostezza. Le differenze tra le foto in programma di sala e quanto visto in scena evidenzia una notevole ricercatezza nell'effetto finale.
Gasparon ha privilegiato per la regia movimenti ieratici, pose plastiche, fortemente iconiche, con varie citazioni: non solo la statuaria classica di cui si diceva, ma anche i dipinti degli Orientalisti, il cinema degli anni Sessanta e altro.

In Juditha insiste sul rapporto saffico tra Juditha e Abra; la vedova mostra ritrosia nell'incontro con lo spregiudicato Holofernes (che non disdegna le attenzioni maschili); nel finale le donne sono trionfanti sugli uomini, come in Lisistrata. Raccordano le due opere dei figuranti inturbantati con lunghi mantelli sui petti nudi, che muovono circolarmente e lentamente lunghe spade ricurve, sia gli assiri di Nabucodonosor (in verde e bianco), sia gli unni di Attila (qui turcheggianti, in bianco e blu). Attila consente maggiore movimento sul palco (rispetto all'oratorio vivaldiano). Nella scena con druidi e sacerdotesse del secondo atto le ballerine hanno tintinnanti braccialetti come Zia Mame nel romanzo di Patrick Dennis (Adelphi).
Importanti nel risultato finale le luci di Vincenzo Raponi, che uniformano il fondale di arancio oppure di indaco oppure di bianco, mentre sottolineano chi è di scena in modo sapiente e suggestivo.

Riccardo Frizza ha diretto l'Orchestra regionale delle Marche: in Juditha ha scelto tempi allargati e un suono poco arioso, privilegiando le tinte neoclassiche e romantiche alla decoratività barocca, soprattutto nella prima parte; in Attila ha ben sfruttato la composizione cameristica in buca per rendere al meglio i momenti di più intenso lirismo come quelli più apertamente enfatici, senza cedere al facile effettismo, convicendo maggiormente. Ottimo il raccordo tra orchestra, cantanti e coro (il lirico marchigiano, preparato da David Crescenzi), chiamato alla notevole fatica di cinque nuovi allestimenti in due settimane e, nei tre titoli verdiani, con un ruolo primario nell'economia totale.

Milijana Nikolic è una Juditha dalla presenza imponente e dalla bellezza plastica e scultorea. Nmon Ford presta il fisico palestrato a un discinto Holofernes. Molto brava per temperamento e vocalità Giacinta Nicotra: il suo Vagaus (qui reso donna che amoreggia coi servi) non ha tentennamenti nelle agilità e mostra i tre registri compattamente solidi. Daninia Rodrìguez è una Abra delicata e fragile, attratta sessualmente (e ricambiata) da Juditha. Ozias diventa, da uomo, una sacerdotessa con Alessandra Visentin.
Nmon Ford veste i panni anche del protagonista verdiano: il suo Attila poco incisivo non convince appieno per carenze di uniformità e morbidezza, mancando di espressivi chiaroscuri che ne appiattiscono la resa, soprattutto nel confronto con un cast di alto livello. Claudio Sgura è un imponente Ezio dalla voce scura più di Ford, sicura nell'acuto a fuoco e cristallino e bene accentata; il suo ingresso in scena, intabarrato in un lungo cappottone bianco, è spesso accompagnato dai fasci littori con le scuri innestate. Temeraria e vocalmente impeccabile la Odabella di Maria Agresta: il registro acuto è controllato in suoni arrotondati e graduati, il centrale è corposo ed espressivo, quindi incisivo, ben timbrato il grave; senza sbavature le agilità sin dal prologo; suggestive le mezzevoci nell'aria del primo atto; il fraseggio complesso rende Odabella non una virago indemoniata ma un personaggio ricco di sfumature, psicologicamente complesso: vera protagonista dell'opera. Di pari alto livello il Foresto di Giuseppe Gipali, la cui linea di canto morbida ed articolata, assai espressiva, riempie i passaggi all'acuto valorizzando ogni possibile accento; il carisma espressivo e la buona tecnica evidenziano ogni piega del personaggio; bella l'immagine di Foresto in giacca e pantaloni bianchi, scalzo e con pashmina al collo come un giovane degli anni Sessanta. Adeguati l'Uldino di Enrico Cossutta e il Leone di Alberto Rota, la cui apparizione è accompagnata dalla croce che lega tutti gli allestimenti di questo festival “A maggior gloria di Dio”.

Qualcosa è sfuggito nel programma di sala, oltre i soliti refusi: Attila passa dal Maestro di Busseto al catalogo di Vivaldi e qualcuno in sala ha pensato che dovesse essere questo il motivo dell'abbinamento con Juditha. Teatro gremito, pubblico internazionale, un trionfo per il cast di Attila.

Visto il
al Lauro Rossi di Macerata (MC)