Prosa
K.313

Macerata, cineteatro Italia, …

Macerata, cineteatro Italia, …
Macerata, cineteatro Italia, “K.313” da Tommaso Landolfi Macerata, teatro Lauro Rossi, “Amore (2 atti)” da Tommaso Landolfi L'IMPOSSIBILE COMUNICARE Alimentato da infinite suggestioni letterarie, il sofisticato discorso narrativo di Tommaso Landolfi verte soprattutto sull'incontro-scontro fra istinto e ragione, fra inconscio e consapevolezza, registrato con ironia e controllato lirismo. Rinnovando continuamente la propria attenzione per gli uomini e le cose quotidiane, osservate con sguardo straniato, Landolfi ha elaborato una poetica della “paura” umana di fronte al misterioso e al paradossale del mondo. I lavori di Fanny & Alexander, oltre che disturbare di proposito lo spettatore, suscitano sconcerto e turbamento ma aprono nuovi sentieri, finora non esplorati, che vale la pena di percorrere, di capire, abbandonando i propri codici mentali ed espressivi, gli schemi sociali e culturali, le lingue parlate e conosciute, le memorie pregresse, persino il controllo di se stessi. Dopo il monumentale lavoro su “Ada” di Nabokov la compagnia prosegue l'indagine sulle misteriose strutture del linguaggio: l'indagine linguistica è operata intorno a un codice in relazione a certe opere o parti di opere, decodificate o riscritte. Ora tocca a Landolfi, intrecciato a “Il mago di Oz” con quelle streghe così landolfiane. “K.313” è tratto da “Breve canzoniere” mentre “Amore (due atti) dal racconto “Piccola Apocalisse” contenuto in “Dialogo dei massimi sistemi”. In “K.313” due amanti dialogano, in un sottile gioco al massacro, sulle opere letterarie di lui, alternando sonetti e lettere ai loro commenti. Un mangiacassette riproduce musica di Mozart, da cui il titolo. Presto risulta chiaro che quello vissuto in scena dalla coppia non è un amore “per mezzo delle” parole ma un amore “per” le parole, che vengono messe in gioco lasciando intendere, come spesso in Landolfi, che tutto il discutere finirà con il dover rispondere ad altre domande, più sottili, più affilate, più penetranti. La drammaturgia intende ricreare il meccanismo intrinseco del testo utilizzando un apparato che traspone l'azione scenica altrove, confondendo le coordinate degli spettatori. Infatti le maschere da terroristi e la telecamera a raggi infrarossi che riprende la scena e la proietta alle spalle degli attori danno un senso di angoscia e aggiungono straniamento, quasi sconcerto. Il pubblico coglie i riferimenti più legati all'attualità ed al contesto abituale, finendo per guardare più lo schermo che gli attori. Il finale introduce una dimensione onirica esaltata dalle luci che si abbassano, dopo il realismo crudo dell'inizio. “Ciò che conta non è fare il verso alle armonie, ma raggiungere quella divina inconcludenza. Amico, amato, taci: cosa ci resterà?” In “Amore (due atti) gli spettatori vengono introdotti in una camera claustrofobica in cui un uomo, assaporando miele, accarezza un bianco agnellino al quale annuncia l'apocalisse della società e dell'arte; i rumori di sottofondo situano l'azione in un ristorante. Poi entra una donna (“finalmente ti ho trovato”, ma si è nel buio più assoluto), “siamo oppressi da una pena, forse la stessa: usciamo per una passeggiata”, dice e il registro cambia. Sopra la testa degli spettatori si apre una finestra con nuvole e cielo azzurro, mentre una guida turistica descrive in inglese i monumenti di Ravenna. Landolfi dà l'idea dell'utopia di una lingua impossibile o dimenticata. E l'ipotetica distruzione di ogni codice di riferimento è esemplificato dalla scenografia, una stanzetta senza uscite luci stroboscopiche o buio assoluto cogli spettatori affrontati e stipati. D'altra parte che c'è di più convenzionale che il linguaggio? (Piccola apocalisse). Però, eliminando un linguaggio agganciato a codici conosciuti, che cosa resta? (Breve Canzoniere). Non si raccontano situazioni ma si vivono stati d'animo. Attenzione però: la comunicazione è impossibile perchè la parola è vittima della finzione del linguaggio e deve perciò farsi suono, confrontarsi coi rumori, rimanere se stessa nel buio, nei colori, nelle luci flashanti. Al centro dell'indagine ci sono i sentimenti, associati all'evocazione di colori e rumori; “le parole non esprimono la luce e i colori se non per convenzione, bisogna dimenticare il significato, come le parole di una lingua che nessuno più conosce”: tristezza e dolore ROSSO versi e fruscii di uccelli; amore felice (il più grande di tutti i beni) GIALLO gemiti dell'amore; purezza VERDE una tempesta di vento, forse una valanga; amore fraterno AZZURRO le voci del telegiornale che raccontano l'attentato ceceno al cinema Dubrovka di Mosca (rimando a K.313); odio e protervia ROSA lingue di Menelik, trombette e giochi di bambini; amore infelice e corruzione ARANCIO gemiti di sofferenza e rumori indistinti echeggianti; gioia e serenità BIANCO il beep elettronico di una sveglia o di un allarme; opulenza e fasto terreno VIOLA rumori di qualcuno che sta fracassando tutto. Si arriva alla fine affannati, turbati, ma eccitati, come dopo essersi arrampicati in cima alla torre di Babele. “Attenta, Madama, le vostre scarpine” dice l'uomo. E fuori dalla porta due scarpine e un cartello che mette in guardia D su quali estremi si possa raggiungere seguendo le intemperanze dell'immaginazione. Il racconto continua nel mondo di Oz insieme a Dorothy e alle streghe. Il viaggio continua. Visti a Macerata, “K.313” il 9 aprile 2008 e “Amore (2 atti)” il 10 aprile 2008 recita delle ore 21 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Italia di Macerata (MC)