Anna Karenina. Un personaggio complesso, creato da uno dei più grandi autori russi, Lev Tolstoj, per parlare di ipocrisia, fedeltà, famiglia, relazioni, società, passione. Una donna attorno cui ruotano conflitti e scontri più o meno diretti.
Anna Karenina è una figura ambigua, piena di ombre, circondata da altrettante zone grigie nascoste nelle situazioni e nelle persone intorno a lei.
Molto poco di questa stratificazione e di questa densità emerge nella restituzione che Sonia Bergamasco, diretta da Giuseppe Bertolucci, porta in scena al Franco Parenti in "Karénina. Prove aperte di infelicità".
Lo spettacolo è nettamente diviso in due: la prima parte introduce l'autore e il romanzo in termini generali, raccontandone la genesi e le fonti di ispirazione; nella seconda parte Sonia Bergamasco dovrebbe trascinare il pubblico nel vortice di pensieri ed emozioni che travolgono Anna nel suo percorso, dallo scatenarsi della passione fino alla decisione di suicidarsi sotto ad un treno in corsa.
Le intenzioni degli autori - Emanuele Trevi e la stessa Sonia Bergamasco - sarebbero nobili ed interessanti: parlare di un personaggio come creatura dell'autore, raccontare come Tolstoj si sia ispirato, ossessionato, scontrato con questo romanzo e con la sua stesura, ricercare il filo conduttore per far comprendere la trama e le scelte. Le intenzioni, che si potrebbero quasi definire metateatrali, non si concretizzano però in ciò che vediamo in scena.
Lo spettacolo resta piatto, la regia evidente (e quindi invadente) e non pienamente giustificabile: perché spostarsi da un angolo all'altro del palco senza che ci sia una ragione? E se la ragione c'è ma non la si capisce (nemmeno sotto pelle), è evidente che qualcosa non funzioni…
In sostanza un testo frammentario che non emoziona. Non c'è traccia di sentimento o di intimità (forse richiamata, nelle intenzioni del regista, dall'abito sobrio e da una scena spoglia, dominata da un pianoforte che diventa ora rifugio ora cassa da morto ma che non assume mai davvero un ruolo). Una Anna Karenina quasi meccanica, singhiozzante, che non offre al pubblico il tempo di seguirla nelle evoluzioni del suo stato d'animo.
Si esce dalla sala orfani di un'emozione che si sarebbe voluto provare ma che è rimasta soffocata nella tecnica.