Prosa
KENSINGTON GARDENS

L'infelicità perfetta di Kensington Gardens

L'infelicità perfetta di Kensington Gardens

Kensington Gardens, l'ultimo lavoro del regista e drammaturgo Giancarlo Nicoletti, è il tassello mancante della trilogia #salvobuonfine e Festa della Repubblica, portato in scena dagli stessi interpreti delle due produzioni precendenti. E' doveroso rendere omaggio al Sala Uno Teatro,  dotato di una struttura in pietra che rimembra gli affascinanti teatri di Siracusa o Segesta.

L'immediata accoglienza in un salotto e un'atipica sensazione di familiarità: tale la percezione del pubblico appena giunto in sala.  Si è in scena. L'occhio è attratto immediatamente dell'azione in corso, cioè da chi è intento a giocare a carte e da chi legge seduto su una comoda poltrona, con atteggiamento dimesso, un libro.  Sono esclusivamente le sedute poste le une di fronte alle altre a sancire il confine tra attori e pubblico. Si ignora il vissuto dei personaggi, i quali vengono esposti allo spettatore in medias res, incuriosendo e creando interrogativi pretenziosi di risposte, le quali  si evinceranno soltanto nello scorrere dello spettacolo.
Quattro  bui mediamente veloci divideranno quattro momenti, cioè quattro atti: il medesimo numero di quelli del magistrale Gabbiano di Checov, a cui l'opera teatrale è ispirata. I dialoghi ritmati, puliti, energici, armoniosi e capaci di scalfire il pubblico, saranno scanditi dalle diagonali tracciate dai corpi mossi da un fine preciso, tracciando così i confini degli spazi, e lasciando immaginare  al di là dell' l'area/ghetto visibile agli spettatori, un cortile mirabile dalla finestra interna e poi un'anticamera, un piano superiore e tre stanze che si diramano dalla principale. Tutto funziona come un orologio rivelando l'assiduo lavoro alle spalle, e il testo è sospeso tra il passato ottocentesco e il demone di un futuro prossimo infelice.

Il partito xenofobo e fascista londinese, che impone restrizioni agli italiani, ormai considerati immigrati, riuscirà a plagiare ed assoldare il nuovo burattino Alessandro Giova, sulla scena Paolo,  il più fragile del gruppo, con evidenti problemi psichici, abilmente comunicati soprattutto in controscena tramite gesti schizofrenici e occhi dispersi tra le preoccupazioni. Un nuovo Paolo,  sicuro, apparirà  in seguito alla legittimazione della sua persona in quanto soldato del sistema, il quale gli aveva riconosciuto la cittadinanza inglese, inglobandolo  sino a renderlo un automa.
Un'attrice famosa (Annalisa Cucchiara), in scena Elena, la cui fama ormai in tramonto non le impedisce di essere ugualmente eccentrica, egoista, logorroica ed egocentrica, nel corso del dramma metterà abilmente a nudo le forti fragilità e il bisogno di amore, che la tiene soggiogata al  musicista, l'amante più giovane, (Simone Leonardi), in scena Massimo De Maiori. Quest'ultimo, ha charme, è affascinante, sfoggia una voce calda diaframmatica, ed è subito chiaro dopo il primo buio, che si tratta di un artista insicuro come tutti, anche geniale, con il pizzico giusto di opportunismo e sarcasmo che lo ha reso capace di acquisire fama, soprattutto grazie alla protezione offerta della donna. Proprio Elena si rivelerà la più debole, frustrata dalla consapevolezza di non essere sinceramente ricambiata in amore, dall'incapacità di essere mamma, e dalla non accettazione della fine dell'acmè di una brillante carriera già vissuta.

Figura statica, oltre al viscido De Maiori, è il magistrato William (Francesco Soleti), taciturno, saggio e preciso,  il quale tramite sottili e taglienti frasi, porterà all'infelicità autoimposta dell'amante Cecilia (Cristina Todaro), la donna di casa, anche lei vittima di un amore "di comodità". Quasi si riuscirà a percepire l'odore del cibo in forno: ritorna la sensazione di essere ospiti in casa di amici. William si rivelerà un uomo dalle promesse proiettate ad un furuto prossimo di cui non si avrà mai l'avvento, insomma un uomo come tanti. Oscillare tra la possibilità di tornare nell'arida Italia, oppure rimanere segregati nel lager inglese: si tratterebbe di una prigionia in entrambi i casi.

Personaggio particolarmente struggente è Tommaso (Riccardo Morgante), il giovane Werther, afflitto, lettore di Baudelaire e altri scrittori maledetti nei quali si rispecchia e da cui trae ispirazione per la propria arte, incompresa da tutti. Odia l'arte fast-food e l'Italia che considera gli artisti inutili. Scaffali: il giovane idea questo il titolo per il brano con cui  desidera scappare dalla retorica e che infine scapperà dall'amara vita.
Un testo complesso, non lineare, denso. La fine del primo atto lascia il pubblico incapace di esprimersi. Molte aspettative, dopo una chiusura primo atto degna da finale. Si riaccendono le luci e il pubblico viene saziato da scoppiettanti figure dinamiche, diverse dal primo atto.
Scopriremo che il gabbiano, Nina,  è Julia (Eleonora De Luca), affascinata dal cantante famoso, come tante giovanissime ragazze, la quale cede e diventa vittima  dell'ammaliazione di un uomo più grande che le promette l' idillio dell'effimera fama.   E' lei l'emblema della dinamicità: da  esile, timida , pura, talentuosa e innamorata, tornerà  sporca, volgare, con una nuova maturità, ribellandosi all'eccessiva segregazione imposta dalla famiglia. Distruggerà il giovane musicista nell'animo, perdutamente innamorato di lei, quanto della sua musica.
Infine Sabrina (Valentina Perrella), non meno talentuosa degli altri, triste, eccetto qualche picco tra secondo e terzo buio, renderà in modo natutale l'amarezza di una donna che non sa cosa vuole dalla vita, e il bisogno disperato di affetto, soffocato in un numero forse troppo elevato di bicchieri di alcol. Due momenti di tenerezza, accompagnati da un imperativo "abbracciami", toccheranno caldamente gli spettatori.

La depressione degli infelici personaggi sarà scandita da bicchieri e bicchieri di alcol, magistralmente architettati, tramite un gioco di riflessi della luce giallognola delle candele  sul contenuto neutro delle bottiglie. Ponderata e curata, l'interpretazione dei personaggi,  sarà accompagnata da un semplice piazzato luci, più o meno intenso, semplice.  Scelta ben pensata al fine di valorizzare senza artifizi una prosa ben ricca.
Il pianoforte e gli spari, dolci e amare, opposte e complementari note della vita;  la morte e la vanità in una frivola danza eccentrica, accompagneranno il buio finale.

Visto il 16-12-2016
al Sala Uno di Roma (RM)