Prosa
KVETCH

La paura di vivere.

La paura di vivere.
Un tavolaccio e quattro sedie occupano il palco. Poi i quattro attori prendono posto in scena, come in una posa fotografica. 
Buio.  
Donna prepara rumorosamente da mangiare in un contenitore metallico, preoccupata che suo marito Franco faccia tardi da lavoro e che la cena non sia perfetta o pronta.
Sua madre, ospite per la sera, le sta addosso dandole consigli inutili (e non richiesti). E' interpretata da un uomo e ,se non fosse per la barba e i peli delle braccia, sarebbe un perfetto donnone anziano. Franco pensa bene di invitare a cena Aldo, collega di lavoro da poco lasciato dalla moglie. In realtà non ne ha minimamente voglia, lo capiamo perchè i quattro personaggi fanno continuamente dei commenti a parte, mentre l'azione si congela e gli altri  restano immobilizzati nell'atto che stavano compiendo (ridere, spostarsi...). Questo impianto drammaturgico permette di conoscere i veri pensieri di tutti i personaggi. La paura di rimanere soli li accomuna. Il donnone è stanca di vivere da sola in una casa di due stanze dalla quale esce solo per far visita una volta a settimana alla figlia. Donna è talmente succube del timore di quel che (lei crede) il marito pensa da avere addirittura l'ulcera. Franco è un meschino che pensa il peggio degli altri per celare la scarsa stima che ha di sé, mentre Aldo fa una vita misera, da scapolo forzato, dopo il divorzio, e trova la famiglia di Franco invidiabile.
Steven Berkoff, autore della pièce,  si diverte con i suoi personaggi come il gatto coi topi, ne descrive situazioni normali che cambiano aspetto appena capiamo quali sono i loro veri pensieri, le loro vere emozioni. Pensieri meschini o miseri o di impotenza. Ogni personaggio è troppo preso a celare i propri veri pensieri e a ipotizzare, sbagliando, quel che pensano gli altri,  per poter ascoltare, poco importa se stesso o gli altri, così Franco pensa che agli occhi di Aldo la sua famiglia sia mostruosa, mentre per Aldo è adorabile. Tutti attenti a non essere mal giudicati, a non fare brutte figure, ad essere sempre come gli altri spettano che si sia, i personaggi di Berkoff sono bloccati nella morsa della paura, ma anche in quella della pavidità.  Nel quadro della cena le dinamiche sono ancora di ampio respiro: i rapporti generazionali (la madre-suocera relegata in una casa di due stanze, in cui vive da sola), i rapporti tra i sessi (Donna che basisce quando scopre che Aldo fa da sé le pulizie di casa e si intenerisce pensando addirittura di andarle a fare lei...), i rapporti sociali (quelli tra i due colleghi di lavoro e a tavola Aldo rivela il soprannome che i colleghi hanno dato a Franco, Kvetch che in ebraico significa piagnisteo).  Nei quadri successivi l'attenzione si sposta sulla sfera sessuale e qui la pièce mostra il suo limite ideologico tradendo la natura piccolo borghese dei personaggi ma anche quella del suo autore, Steven Berkoff, uno dei protagonisti della scena inglese contemporanea, tra i fondatori del London Theatre Group, prolifico drammaturgo, conosciuto dai più per i ruoli da cattivo che ha interpretato al cinema.
Nel secondo quadro, Donna e Franco fanno sesso e ricorrono entrambi a fantasie sessuali per portarlo a termine visto che nessuno dei due è più attratto dall'altro/a: lei pensa a due spazzini che la violentino e la costringano agli atti sessuali più turpi, lui per eccitasi fa l'elenco di tutte le ragazze notate durante la giornata. L'orgasmo che entrambi raggiungono loro malgrado denuncia non solo l'ipocrisia del loro rapporto familiare (tanto invidiato da Aldo) ma anche lo scollamento tra mente e corpo dei due protagonisti, e non tanto tra essere e apparire, tra dire e pensare, ma anche in un atto così fisico come quello sessuale. Quindi il sesso è ancora il sintomo di qualcos'altro. Nei quadri successivi invece il sesso, inteso anche nella sua dimensione affettiva, diventa l'unico metro di misura della condizione doppia di tutti i personaggi, a discapito di un privato non sessuale altrettanto importante. Le responsabilità sociali, il conformismo borghese, l'ipocrisia e il perbenismo, i tabù sociali, il capitalismo (l'amante di Donna, la quale ha trovato finalmente il coraggio di lasciare il marito, è un industriale, cliente amato-odiato da Franco, che come lavoro fa il rappresentante di commercio...) non sono mai attori della pièce e sono presenti solo nella misura in cui vengono evocati dalle loro influenze sulla vita sessual sentimentale dei protagonisti. Poco male però perchè Berkoff sa usare il sesso senza svilirlo o farne una moneta di basso conio. Quando l'industriale fa l'amore con Donna, temendo di incontrare ancora i problemi di erezione che ha avuto con le prostitute che si concede da quando la moglie lo ha lasciano per un nero, l'atto sessuale, descritto e non mostrato,  viene detto da Donna con dovizia di particolari: il cunnilingus col quale l'industriale precede il coito viene detto con un tono poetico e mai volgare, esplicito ma mai pornografico. Lo stesso succede quando Franco ricorre al suo armamentario di fantasie sessuali (per fare l'amore con la moglie che non lo eccita più), e scopre di avere delle fantasie erotiche per Aldo senza che l'omoerotismo diventi il segno di una perversione o serva a descrivere chissà quali bassi istinti dell'uomo. Anzi nel finale della pièce Franco, abbandonato da Donna, che si è davvero emancipata, riesce a sedurre Aldo (il cui interessamento per Franc è inaspettato e repentino, fino a un momento prima conoscevamo solo le sue uscite serali con le prostitute, unica incongruità della pièce) i due vanno a vivere insieme ma ecco che Franco ripercorre con lui le stesse identiche dinamiche che aveva con Donna rifiutandosi di dargli il bacio della buonanotte...
In Kvetch, insignito del premio Nuove Sensibilità 2008-2009, si ride o, meglio, si sorride, grazie alla recitazione dei quattro interpreti che sanno giocare bene tra i vari registri della pièce senza mai scalcare la manu nel ridicolo o nel grottesco, a iniziare da Simone Luglio che è sia una impeccabile suocera-madre, priva di moine e di vezzi semplificatori, del femminile sia un convincente industriale ossessionato dalle dimensioni del pene dell'amante della ex moglie. Ogni attore è sempre leggero in quel che dice e che fa, grazie anche a una regia attenta (firmata da Tiziano Panici e la compagnia) che ha avuto la felice intuizione di far recitare gli a parte a ognuno dei personaggi in un dialetto diverso, a sottolineare anche linguisticamente la spontaneità dei loro pensieri ma anche come la costrizione delle regole sociali che rende pavidi tutti i personaggi  sia per noi italiani anche quella di una lingua nazionale che non ha mai davvero fatto da legame.
Visto il 30-01-2010
al Argot Studio di Roma (RM)