I ronconiani tornano a scuola per insegnare il dialogo tra diversità

I ronconiani tornano a scuola per insegnare il dialogo tra diversità

Sono gli storici della scuola di Ronconi i protagonisti de L’ora di ricevimento: Stefano Massini ne scrive la drammaturgia, Michele Placido dirige i giochi e un magnetico Fabrizio Bentivoglio fa da padrone sul palcoscenico ridotto a una scatola d’intonaco dallo scenografo Marco Rossi.
Ideato per la Compagnia dello Stabile dell’Umbria, il dramma ha luogo in una classe di una scuola di periferia a Tolosa, Francia, dove il problema dell’integrazione minaccia costantemente la convivenza pacifica.

In assenza degli alunni

Il dramma si svolge interamente in assenza degli alunni, seppur evocati dall’appello iniziale di Ardeche (Fabrizio Bentivoglio), professore di francese, e dai successivi colloqui. La presenza dei ragazzini non è necessaria né desiderata quando il conflitto ideologico ha luogo: i genitori di diverse religioni fanno dei figli un simulacro dei propri valori. Così ogni possibilità di dialogo tra diversità viene immolata alla causa della difesa della propria “identità”.

Nessuna soluzione giunge dal grande stato laico francese, che pretende di risolvere la difficile situazione ancora cercando la mediazione della ragione di stampo illuminista. I suoi “palazzi di belle parole” sono destinati a crollare: solo la costruzione di un rapporto reale può aiutare a capire l’altro.

Provocazioni e protagonista

Non mancano le provocazioni, che Massini fa emergere dalle situazioni più apparentemente normali. Scena dopo scena qualcosa si deposita e perturba, seppure talvolta tale tensione sia interrotta da gag e parti di dialoghi non essenziali.
Anche il personaggio di Ardeche non è sempre funzionale all’azione: la scelta di drammaturgo e regista di renderlo qualcosa di più che un semplice insegnante di scuola elementare potrebbe essere interessante, volta ad elevare il tono complessivo della narrazione.
Accade però che la sua personalità emerga esageratamente dal contesto, finendo per assomigliare troppo agli architetti della pièce, più che a un personaggio reale.