Il teatro ha una funzione sociale? Il mestiere dell’ attore ha una dignità e un’utilità come tutte le altre professioni? Lo Stato avvalla e sostiene l’ arte teatrale e la professionalità degli attori?
Queste sono le domande che pone Oreste Campese, un capocomico che ha perso il suo “capannone”, una struttura teatrale mobile finita in cenere a causa di un incendio, venendo a colloquio con il nuovo prefetto del paese, De Caro, per chiedergli aiuto.
Dalla discussione dei due protagonisti, segnata da violenti contrasti e divergenti visioni, scaturisce una riflessione sul teatro e sulla sua funzione nella società, sull’impegno dello Stato in favore dell’arte e sulla condizione degli attori. Ma il dialogo tra arte e potere sembra essere un dialogo tra sordi. Il capocomico, viene cacciato via in malo modo, ma lancia al prefetto la sua sfida: “Oggi vedrà comparire davanti a lei 6 personaggi, stavolta non in cerca d’ autore, ma in cerca di autorità”. De Caro, si accorge subito di non avere più la lista degli appuntamenti sul tavolo. Un atroce dubbio lo assale: le persone che riceverà in giornata saranno gli autentici abitanti del suo paese, o degli attori della compagnia teatrale mandati da Campese?
“L’arte della commedia”, opera scritta da Eduardo De Filippo nel 1964, è solidamente legata ad un impianto tradizionale, apertamente meta teatrale, divertente sì, ma anche terribilmente seria, una sorta di riflessione sul teatro in cui Eduardo non risparmia una chiara critica alla politica e alla società. I temi trattati sono ancora attualissimi perché, come dice l’autore, “il problema del teatro non riguarda solo chi lo fa, riguarda tutti indistintamente”.
Con quest’opera, Eduardo De Filippo sancisce un atto di fede assoluta nel teatro e denuncia la scarsa considerazione di cui quest’ultimo è oggetto da parte del potere costituito.
Mettere in scena questa commedia oggi e riempire di pubblico una sala, è già di per sé una sfida “coraggiosa”- come la definirebbe il personaggio di Oreste Campese - sia per i temi di riflessione e critica sociale che solleva, sia perché oggi, ancor più che negli anni Sessanta, la “crisi teatrale” è forte, la rivalità con la televisione e il cinema è ancora più marcata. Ma la sfida “coraggiosa” è stata accolta: il regista Stefano Messina e la Compagnia Attori e Tecnici, portano in scena al Teatro Vittoria “L’arte della commedia” fino al 12 febbraio.
Divertimento assicurato, grazie alla bravura di attori quali Stefano Altieri, Riccardo Cascadan, Carlo Lizzani, Renato Scarpa, Roberto Della Casa, Annalisa Favetti, Michele Lella, Ludovica Rosenfeld. Ottime le caratterizzazioni dei personaggi, equilibrata l’ alternanza tra registro comico e serio, curata la regia, coadiuvata dalla funzionalità semiotica delle scene di Alessandro Chiti, delle musiche di Pino Cangialosi e dei costumi di Isabella Rizza.
La compagnia mette in scena una commedia che, con divertimento e una vena di pessimismo, ci suggerisce che solo guardando da quel “buco della serratura” che è il palcoscenico, dove la poesia riscatta la realtà, si possono capire le miserie e le sofferenze umane.
Nel finale la regia sceglie un’ottima soluzione scenica, dalla forte valenza simbolica. Attraverso un uso sapiente delle luci, il fondale diventa uno specchio: il riverbero presenta al pubblico le doppie immagini dei personaggi per comunicare che la verità è sempre relativa e le storie raccontate a teatro sono sempre rappresentazioni di fatti che accadono tutti i giorni nella vita reale.
La lezione che il capocomico insegna al prefetto è che indipendentemente dalla reale identità delle persone con cui ha parlato, le storie che ha ascoltato sono fatti umani di cui un uomo di Stato deve tenere conto.
Roma (RM), Teatro Vittoria, dal 20 gennaio al 12 febbraio 2009
Visto il
al
Michelangelo
di Modena
(MO)